venerdì 10 luglio 2015

Repubblica 10.7.15
“Roma devastata dalla corruzione Marino sottovalutò il problema”
La relazione Gabrielli: “No allo scioglimento del Comune, ma la discontinuità con Alemanno è stata tardiva”. Si dimette il segretario del Campidoglio
di Carlo Bonini


ROMA . Come in certe sentenze di assoluzione per insufficienza di prove, che finiscono con l’essere peggiori di una condanna, la Relazione Gabrielli al ministro dell’Interno Alfano che esclude l’ipotesi di scioglimento del Consiglio comunale di Roma consegna all’opinione pubblica un sindaco e una Giunta se possibile ancora più fragili.
Naufraghi scampati a una tempesta e a un abisso di cui — se non fosse stato per il lavoro della magistratura — non avevano e non avrebbero forse mai avuto reale percezione. Nelle 103 pagine del documento, di fronte all’oggettivo e «devastante » spettacolo di una «amministrazione locale devastata», Ignazio Marino appare infatti ora “inconsapevole”, ora oggettivamente “inerme”.
Certamente volitivo e moralmente immacolato, ma sicuramente sempre in ritardo nel tamponare gli squarci che, tra il dicembre 2014 e il giugno scorso, vengono aperti dall’inchiesta Mafia Capitale. Un Forrest Gump che, aiutato dalla fortuna, dalla dirittura morale e se si vuole dalla sua assoluta estraneità a Roma e al suo sistema malato di relazioni, non se ne lascia travolgere.
Non a caso, a salvarlo dallo scioglimento, come si legge nella relazione, è soltanto l’interpretazione e l’applicazione che dell’articolo 143 del Testo Unico di legge sugli Enti Locali decide di dare il prefetto Franco Gabrielli in disaccordo con le conclusioni della commissione prefettizia di accesso agli atti insediata dal precedente prefetto Giuseppe Pecoraro.
Secondo quella norma è necessario, per poter parlare di inquinamento mafioso, che gli «elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata siano concreti, univoci e rilevanti». Ebbene, «non appare irragionevole ritenere — scrive il prefetto nelle conclusioni — che gli elementi emersi di Roma Capitale, riferiti evidentemente alla sua gestione sotto la Giunta Marino, pur presentando i caratteri di rilevanza e concretezza, non riuniscano l’indispensabile tratto della univocità che consente di escludere in toto letture anfibologiche delle situazioni riscontrate».
Anfibologico : l’aggettivo che salva Sindaco, Giunta e consiliatura, sinonimo di “ambiguo”, “equivoco”, “passibile di doppia interpretazione” finisce per essere un epitaffio che fotografa una stagione politica. E, con lei, numeri e atti della Giunta Marino almeno nel suo primo anno e mezzo di vita, fino cioè al dicembre 2014, quando Roma e il Paese scoprono la coppia Buzzi-Carminati e al capezzale del Campidoglio viene chiamato in gran fretta come assessore alla legalità il magistrato antimafia Alfonso Sabella.
La Commissione prefettizia, infatti, per provare a misurare la qualità della «discontinuità» politica e amministrativa tra la Giunta Alemanno (che di Buzzi e Carminati è poco più che una
depandance ) e quella della “rinascita” di Marino, lavora su una statistica: «Tra il primo gennaio 2011 e il 13 giugno 2013 (gli ultimi due anni della Giunta Alemanno) le procedure negoziate( affidamenti di appalti senza gara)rappresentano il 36,28 per cento del totale degli affidamenti del Comune, per un valore di 5 miliardi e 108 milioni.
Tra il 13 giugno 2013 e il 31 dicembre 2014, le procedure negoziate della Giunta Marino sono pari al 72 per cento del valore complessivo degli affidamenti, per un valore di 1 miliardo e 73 milioni». Di fatto, per almeno un anno e mezzo, la Giunta Marino non fa gare. Schiacciata dalla coda della gestione Alemanno procede per “somma urgenza” rinnovando affidamenti che fanno grassa la “mucca” di Buzzi e Carminati.
Dunque? Dunque, osserva la Commissione, «il condizionamento mafioso si è realizzato secondo schemi e copioni non intaccati dal cambio di amministrazione » e «si ritengono sussistenti i presupposti per l’applicazione di tutte le misure contenute nell’articolo 143: lo scioglimento dell’organo consiliare di Roma capitale per infiltrazioni mafiose e l’applicazione di misure di rigore di cui al quinto comma della medesima disposizione nei confronti di un’ampia serie di soggetti della componente burocratica dell’Ente».
Gabrielli, al contrario, intravede la “discontinuità” politica e amministrativa che la Commissione nega. E tuttavia ne dà un quadro obiettivo che non consente a Marino di considerare queste 103 pagine come un salvacondotto. «Va evidenziato — scrive infatti — come la Giunta Marino abbia dato alcuni precisi e non trascurabili segnali di discontinuità. Ma va anche evidenziato per dovere di obiettività che, almeno all’inizio della gestione, si tratti di scelte non dettate da una precisa e consapevole volontà di contrastare l’illegittimità ed il malaffare, quanto piuttosto di comportamenti ispirati agli ordinari parametri di legalità cui, di norma, dovrebbe uniformarsi l’azione amministrativa, che diventano “straordinari” solo se correlati ex post alle dimensioni e alla pervasività del sistema corruttivo disvelato dalle indagini giudiziarie».
Qualcuno dunque, deve pagare. «Sicuramente ricorrono tutti i presupposti per lo scioglimento del X Municipio di Ostia — scrive Gabrielli — dove va segnalato che l’accesso sia stato disposto solo dopo l’esecuzione della prima ordinanza di custodia cautelare di Mafia Capitale ». Sicuramente almeno una ventina tra dirigenti e funzionari pubblici vanno rimossi. Liborio Iudicello, segretario generale del Comune, ha provveduto da solo dimettendosi ieri sera. E, altrettanto sicuramente, annota il prefetto con un affondo che suona censura al suo predecessore Pecoraro, «la Giunta Marino ha operato in assenza di precisi segnali di allarme che sarebbero dovuti provenire da organi terzi e che ben avrebbero potuto indirizzare l’azione di ripristino della legalità verso percorsi più decisi».