lunedì 13 luglio 2015

La Stanpa 13.7.15
L’unione è garanzia di pace
di Vladimiro Zagrebelsky


Sarebbe facile ora scrivere sulle mancanze, sull’assenza di politica estera comune, sulla conflittualità economica e sulla carenza di solidarietà tra i Paesi membri di quella che chiamiamo Unione europea. Sarebbe facile ma anche inutile e ripetitivo poiché i discorsi critici sono continui, martellanti e, purtroppo, ben fondati. Meno presente è invece il richiamo al valore del processo di unificazione europea.
Sembra anzi che l’Europa sia solo un peso, che, per l’ottusità dei «burocrati» di Bruxelles, soffoca le naturali vitalità nazionali.
Alla fine degli Anni 40 del secolo scorso, l’Europa era distrutta non solo materialmente, dalla guerra che essa stessa aveva scatenato. I valori di civiltà che l’avevano fatta grande nella storia del mondo erano stati travolti dal peggio che pure nel corso dei tempi essa aveva prodotto: violenza interna e esterna, razzismo, disprezzo della libertà della persona, divinizzazione della nazione e guerre e ancora guerre. Nella urgente necessità di ricostruzione morale ed economica, prese avvio il movimento tendente alla unione europea. Si usa dire, ed è certamente vero, che esso si mosse essenzialmente sul terreno dell’abbattimento delle frontiere economiche per permettere la formazione di un mercato comune tra i Paesi dell’occidente europeo che - l’Italia tra questi - partecipavano al progetto. Ma si ricorda meno frequentemente che in realtà prima di tutto ci si mosse per garantire all’insieme di quei Paesi la stabilità delle istituzioni democratiche e la protezione dei diritti fondamentali delle persone. L’incarico di operare per assicurare democrazia e diritti umani venne assegnato alla prima delle istituzioni europee del dopoguerra, il Consiglio d’Europa. Fu Churchill nel grande discorso tenuto nel 1946 all’Università di Zurigo a lanciare l’idea e il programma. E poco dopo, sotto la sua presidenza e con la partecipazione anche dell’italiano Altiero Spinelli, si tenne la conferenza dell’Aja da cui prese forma l’istituzione che ancor oggi ha lo scopo di sviluppare e salvaguardare la democrazia e i diritti umani nel continente europeo. Ora, dopo il disfacimento del sistema di dominazione sovietica, il Consiglio d’Europa, con i suoi 47 Stati membri, copre praticamente tutto il continente ed opera ancora, anche se un poco nell’ombra rispetto all’Unione europea. All’inizio della sua azione, quando era in discussione quella che sarebbe stata la Convenzione europea dei diritti umani, il relatore che ne presentava il testo, Pierre-Henri Teitgen, uomo della Resistenza francese, avvertiva che era necessario essere vigilanti poiché la crisi delle libertà non avviene tutta di un colpo, ma poco a poco e poi diviene manifesta quando è troppo tardi. Dunque era necessario premunirsi creando istituzioni europee forti. Da anni ormai è divenuta pratica normale rivolgersi a una Corte europea quando si ritenga che le autorità nazionali non abbiano rispettato i fondamentali diritti umani. E questa possibilità, che non esiste in alcun’altra parte del mondo, ha prodotto grandi avanzate in Italia e in Europa nella difesa dei diritti e delle libertà. A ciò si aggiunge la cooperazione tra gli Stati europei nella materia della giustizia e della sicurezza interna, che è ora una realtà.
La lungimiranza di Teitgen in tema di diritti e libertà, non era solitaria. Già alla conferenza dell’Aja lo spagnolo Salvador de Madariaga aveva proposto la fondazione del Collegio d’Europa, un collegio in cui i laureati di diverse nazioni, alcune delle quali fino a poco tempo prima in guerra tra loro, avrebbero potuto studiare e vivere assieme. Nella stessa direzione nel 1987 è stato poi realizzato il progetto Erasmus, che consente a decine di migliaia di studenti europei di svolgere parte dei loro studi in Paesi diversi da quello di cui sono originari (l’anno scorso 18.000 studenti europei sono venuti in Italia e 25.000 italiani sono andati a studiare altrove). Un così potente strumento di integrazione, di conoscenza e crescita è stato realizzato sulla base di una intuizione fondamentale, già presente negli spiriti più lucidi immediatamente dopo la guerra. La cittadinanza europea, che per i cittadini dei Paesi membri dell’Unione europea si aggiunge a quella nazionale, ha ancora scarsi contenuti legali, ma potrà acquistarne altri man mano che progressivamente emerge la realtà di un popolo europeo. I giovani che escono dal loro Paese e vivono e studiano in Europa con i loro compagni sono naturalmente cittadini europei, in senso più forte di ciò che pur significa il possesso della cittadinanza europea comune a tutti. E tra i Paesi che sono andati più avanti sulla via dell’unificazione, è ora possibile (e non ci si rende nemmeno più conto di quanto sia straordinario) viaggiare senza fermarsi alle frontiere e senza dover cambiare moneta.
I nazionalismi riemergono nei Paesi dell’Unione europea, nata proprio per superarli ed impedire il ritorno della guerra in Europa - esito storico degli interessi e della logica delle nazioni - e con essi forme di intolleranza per il dissenso e per le minoranze. Alle frontiere dell’Unione europea si accendono conflitti bellici: Ucraina e Russia, Russia e Georgia, Turchia e Cipro per non menzionare il Medio-oriente, la sponda meridionale del Mediterraneo e le ancora recenti guerre jugoslave. Occorre non lasciarsi distogliere da tanti e pur gravi problemi e dall’incapacità dell’Unione di affrontarli efficacemente. Tutto ciò che l’Unione europea e il Consiglio d’Europa hanno messo in piedi aveva e ha il più importante e fondamentale scopo: concorrere a garantire la pace, di cui lo sviluppo civile ed economico è la condizione. Diverse generazioni ormai nei Paesi dell’Unione hanno vissuto in pace, tanto da far ritenere che questa sia la normalità irreversibile. Non è purtroppo così, ciò che è dato per acquisito può rapidamente venir meno. La debolezza dell’Unione europea e le critiche che essa merita non dovrebbero far dimenticare che, dopo secoli di guerre europee, da settant’anni viviamo in pace.