lunedì 13 luglio 2015

La Stampa 13.7.15
Spaccati da una crisi di fiducia
di Stefano Stefanini


Può darsi che stamattina sappiamo quale sia l’esito della vicenda greca che paralizza l’Europa da due settimane. L’ennesimo vertice europeo si è concluso. Può darsi che stamattina i greci sappiano così che sorte li attende, dentro o fuori l’euro.
Sappiamo però che prezzo Atene e l’Europa stanno pagando. Altissimo. La gestione demagogica della crisi da parte del governo Tsipras è costata finora alla Grecia almeno 10 miliardi di euro, in aumento del debito E in mancata attività economica.
Da fine gennaio, Syriza aveva già tagliato le gambe a un’economia in timida ripresa. Dire no all’Europa ha risvegliato dignità e orgoglio nazionale in cambio di un’ulteriore contrazione del Pil, i cittadini greci valuteranno se ne sia valsa la pena.
Dovrebbe preoccupare non solo gli 11 milioni di greci, ma i circa 300 milioni di europei che usano l’euro e i 500 milioni dell’Unione, il danno profondo che la vicenda sta provocando. L’Europa si è dilaniata. Il dilemma di Angela Merkel, rompere col proprio elettorato o mettersi in rotta di collisione con buona parte dell’Europa, scegliere fra rigore del Nord e pressioni del Sud, è il catalizzatore di faglie che si aprono in tutto l’edificio europeo. La politica potrà forse rimarginarle. Sarà ben più difficile riavvicinare le sensibilità dei cittadini europei.
Anziché fare quadrato, l’Europa si è spaccata al cuore del rapporto che ne ha sempre cementato la tenuta, il motore franco-tedesco. Pur ambivalente sull’asse Parigi-Berlino, l’Italia ne ha sempre riconosciuto la funzione vitale. Francia e Germania hanno avuto le loro divergenze, ma non era mai avvenuto che su una questione esistenziale per l’Unione uno dei due leader (in questo caso Hollande) scegliesse il ruolo di cavaliere solitario, assistendo direttamente Atene anziché cercare la mediazione con Berlino. Se vi è stato spinto dall’intransigenza tedesca, l’errore è reciproco.
Sabato l’accordo sulla Grecia sembrava vicino, sottovalutando le resistenze tedesche, finlandesi e - più o meno esplicite - di molti altri. Rispetto all’offerta europea respinta dal referendum, il piano Tsipras, avallato del Parlamento greco, offre ai creditori qualcosa di più per ottenere parecchio di più, specie in termini di alleggerimento del debito. E costa di più per il tempo perso. Ciò nonostante sarebbe accettabile, e razionalmente preferibile all’uscita della Grecia dall’euro, se non fosse per un piccolo, cruciale elemento: la mancanza di fiducia. In parte, e non senza motivo, nella Grecia, visto come si è creato l’enorme buco nelle finanze elleniche. Soprattutto in un governo che ha giocato spregiudicatamente la carta ideologica e della pretesa di democrazia - opponendo il voto del 61% di otto milioni di votanti greci ai rappresentanti democraticamente eletti di centinaia di milioni di spagnoli, tedeschi, olandesi o irlandesi.
Questo il vero nodo del negoziato, non le cifre. La fiducia non è un bene fungibile. Perderla nell’ambito di un progetto comune ha un costo enorme. Non c’è trattato o istituzione che la possa sostituire. Passi forse se viene a mancare nei confronti di un comprimario. Esiziale se s’insinua fra i protagonisti dell’impresa.
Nel frattempo, con tutte le energie dell’Unione assorbite dallo psicodramma greco, intorno all’Europa succedeva di tutto: una bomba Isis al Consolato italiano del Cairo; le sassate contro il primo ministro serbo che aveva il coraggio di partecipare alla cerimonia del ventesimo anniversario di Srebrenica; il negoziato nucleare sull’Iran segna il passo; recrudescenza di scontri in Ucraina; e, naturalmente, centinaia d’immigrati in arrivo in Sicilia.
I campanelli d’allarme suonano all’uscio di casa. Peccato che in questi giorni l’Europa abbia altro cui pensare. Col rischio di pagare la distrazione, oltre che la distruzione della fiducia.