sabato 4 luglio 2015

La Stampa 4.7.15
Wallström, la ministra svedese che ha sfidato Israele e i sauditi
Dal riconoscimento della Palestina alle critiche a Riad per i diritti umani violati “Voglio che siano chiari i nostri valori: la politica estera è fondata sull’etica”
di Monica Perosino


In svedese c’è una parola praticamente intraducibile, «lagom», il cui significato si avvicina al «giusto mezzo», qualcosa di equilibrato, buono e sufficiente per tutti. Nulla a che fare con la mediocrità, anzi. «Lagom» è l’archetipo scandinavo della virtù.
Da quando la socialdemocratica Margot Wallström, 61 anni, è stata nominata ministro degli Esteri dal premier Stefan Löfven, lo scorso 4 ottobre, è diventato chiaro come anche la politica estera possa essere «lagom». Nonostante le apparenze.
In soli otto mesi tre potenze mondiali si sono sentite «offese» da Stoccolma, e per questo due hanno ritirato i propri ambasciatori, chiuso le sedi diplomatiche e, almeno in un caso, hanno minacciato di interrompere le relazioni. Alla fine, però, ha avuto ragione lei. Lei e il suo senso del «lagom».
Effetto a catena
Il primo atto di Margot Wallström, appena qualche settimana dopo l’insediamento, è stato quello di riconoscere la Palestina come Stato (il primo e l’unico Paese Ue). Ha poi criticato l’Arabia Saudita per le violazioni dei diritti umani e ha condannato l’assassinio di Boris Nemtsov come parte del «regno del terrore» di Putin. Wallström non ha avuto incertezze né tentennamenti, neanche di fronte alle reazioni indignate - e non solo - di Israele, Russia e Arabia Saudita.
Per molti le posizioni scelte dalla «piccola Svezia» erano avventate e il Paese scandinavo «ne avrebbe presto pagato le conseguenze», per altri con le sue azioni e prese di posizione Wallström avrebbe addirittura rotto le regole tradizionali della diplomazia. Ma ora anche i più critici si sono dovuti ricredere: le relazioni con Arabia Saudita, Russia e Israele sono tornate alla normalità, gli ambasciatori rientrati a Stoccolma. E la Svezia ha fatto da apripista per mettere sul tavolo questioni ancora solo sussurrate in Europa.
«Tutte le relazioni internazionali - dice la ministra - devono essere basate sul rispetto reciproco, sempre. Cerchiamo un dialogo franco e diretto, soprattutto quando in ballo ci sono i diritti umani». Wallström possiede una rara determinazione, tranquilla e leggera, ma inscalfibile. E non è per nulla intimorita da chi cerca di fare la voce grossa: «Le relazioni con l’Arabia Saudita sono da sempre state complicate», dice, e cita il caso del ministro della Difesa Sten Tolgfors (dei Moderati), costretto a dimettersi nel 2012 per un progetto segreto di una fabbrica d’armi in Arabia Saudita. «La Svezia non viola le regole della diplomazia, siamo solo chiari su quali siano i nostri valori. Non bisognerebbe guardare quello che facciamo noi, ma piuttosto le reazioni dei Paesi che si sentono offesi, sono molto più indicative».
Ipotizzare che un’istituzione svedese possa infrangere una regola, per di più diplomatica, questo sì, è offensivo: «Sapevamo che quando avessimo riconosciuto la Palestina, Israele avrebbe reagito. L’aveva fatto quando altri Stati hanno preso la stessa decisione. Stessa cosa per la questione saudita. Era prevedibile». Pragmatismo e schiettezza: «La politica estera è fondata sull’etica: sono convinta che tutti i Paesi Ue abbiano la stessa visione, gli stessi valori morali, inclusi democrazia e diritti umani».
Politica estera femminista
Appena insediata Wallström aveva promesso che avrebbe perseguito una «politica estera femminista». Ed erano arrivate le polemiche, sia interne che da chi sosteneva che sarebbe stata una «politica anti-uomini» e permeata da ideologia. Wallström sbuffa, leggermente infastidita: «È una visione così obsoleta... Ma se dà così fastidio parlare di femminismo allora parliamo di parità di genere». Di ideologico c’è poco, di pragmatismo molto: «Un grande numero di studi e analisi chiarisce che quando c’è parità c’è anche sicurezza. La parità di genere non è solo un obiettivo in sé, ma anche una precondizione per raggiungere situazioni interne e internazionali di stabilità e sicurezza».
Il modello
«Non so se la Svezia possa essere considerata un modello, lo spero. Ma con il riconoscimento della Palestina abbiamo aperto un dibattito in Europa, e altri Stati hanno iniziato un percorso simile. Ma se siamo un modello non siamo un modello isolato, apparteniamo all’Europa, siamo un membro attivo dell’Unione europea e dei suoi valori. È in Europa che si formano le nostre politiche». Wallström non fa un passo indietro sulle azioni che hanno creato «crisi» diplomatiche, in Arabia Saudita come altrove. E la sua voce schietta e diretta ribadisce: «La politica estera e l’etica coincidono, necessariamente».