sabato 4 luglio 2015

La Stampa 4.7.15
Germania
Gli agenti sul treno per Monaco
“Capiamo l’Italia che non li ferma”
di Lisa Schnell


Alla stazione di Verona attendono africani, siriani, afgani, tutti ammassati sino alla fine della banchina. Tengono tra le gambe borse di plastica logore con dentro i vestiti, dell’acqua, un pezzo di pane. Appena arriva il treno si accalcano alle porte, inciampano, premono, si intrufolano attraverso il piccolo varco. Nel giro di pochi minuti ogni posto a sedere libero risulta occupato da un profugo.
Vista dall’alto è una marea nera con due o tre macchie bianche. Una delle quali è la permanente di una signora in vacanza. «Queste sono le nuove realtà», dice lei. Ci si sente «sconcertati» a viverla con mano. Non è come le immagini serali dei gommoni che si vedono nei notiziari. Le immagini non respirano, non hanno odore. È strano per lei stare improvvisamente seduta vicino ad uno di loro.
La scena si ripete ogni giorno sul treno da Verona a Monaco di Baviera. Nell’ultimo anno a Rosenheim da treni e autostrada sono stati recuperati 12.500 profughi. Quest’anno sono già 6.000 soltanto nei primi cinque mesi. Oltre il 60% di questi si sposta in treno. La maggior parte di coloro che fanno la tratta del Brennero arriva dall’Eritrea. Si tratta dell’ultima tappa del loro lungo viaggio dopo aver attraversato il deserto, essere stati in prigione, aver avuto la meglio sul mare a bordo di un gommone: adesso sono a neanche 200 chilometri dal loro obiettivo, la Germania. Gli unici a fare ancora da ostacolo sono i poliziotti italiani e austriaci: sulla base del trattato di Schengen è compito dei Paesi limitrofi fare in modo che il viaggio di andata verso la Germania non sia completamente privo di controlli.
Anche per questo le banchine della stazione di Bolzano sono spesso piene di profughi: è all’ultima stazione prima dell’Austria che gli italiani fanno i controlli.
«È facile andare in Germania», dice Josef, 21 anni. Seduto nello scompartimento della seconda classe. All’inizio del 2014 si è messo in marcia dall’Eritrea alla volta dell’Europa. La poliziotta 33enne è seduta al bar della carrozza, dopo aver appena terminato i controlli assieme ai colleghi italiani. «Grida, percosse, morsi» è il riassunto veloce della reazione di qualcuno, il cui viaggio termina giusto poco prima di arrivare alla meta. Non prova compassione? «È un lusso che non possiamo permetterci», risponde.
È una politica delle contraddizioni. Non ci devono essere morti nel Mediterraneo, ma neanche ingressi illegali verso l’Europa. È per questo che i controlli al confine tedesco vengono rafforzati. «È comprensibile che la polizia italiana non si faccia in quattro» per ostacolare gli espatri, dice Burkhard Kreutz, comandante della polizia regionale tirolese. Nel frattempo il treno è quasi arrivato a Innsbruck. Quelli che oggi vengono respinti, domani sono di nuovo seduti sul treno. Almeno 30 poliziotti tedeschi percorrono il corridoio. Lo chiamano «fare pulizia»: su ogni vagone lo stesso ritornello «Passaporto?», scuotimento di testa, «È illegale, devi andartene». Sulla banchina della stazione ecco di nuovo una lunghissima coda di profughi. Il reato di immigrazione clandestina viene quasi sempre lasciato decadere se presentano domanda di asilo. E allora perché tutta questa fatica? «Lo chieda ai politici», dice uno degli agenti.