La Stampa 3.7.15
Poco di buono
di Massimo Gramellini
A Prati, quartiere del centro di Roma, una ragazzina viene trascinata in un parco e stuprata da un uomo di trent’anni. Immediata sul web si scatena la caccia al nero, all’immigrato, al rom, al sindaco Marino che li lascia andare in giro tutti e tre indisturbati a violentare le nostre donne. Ma appena irrompe la notizia che lo stupratore presunto è un italiano purosangue, per di più militare al servizio della sacra Patria, l’esecrazione della Rete dimentica immediatamente il carnefice e sterza sul vestito corto della vittima (a luglio di solito si indossano gonnelloni di lana) e sui genitori depravati che le permettono di rimanere in strada oltre la mezzanotte a differenza di Cenerentola. Gli stessi fini pensatori che sarebbero stati disposti a incendiare un campo rom per vendicare la ragazza offesa da uno di «quelli», indirizzano adesso i loro miasmi contro la scostumata.
Cambiano gli strumenti per diffonderlo, ma il pensiero di queste minoranze rumorose non è molto dissimile da quello che doveva animare i loro progenitori nelle caverne: se l’aggressore non appartiene a un’altra tribù, allora è lei che dev’essere una poco di buono. Il problema è che le caverne erano spazi ristretti, mentre questi trogloditi da tastiera rivolgono i loro rutti potenzialmente al mondo intero. Rimedi? Parlarne e scriverne fino alla noia. Le parole sono lente, ma contagiose. Attecchiscono un po’ alla volta e però dappertutto, persino nelle caverne della modernità.