domenica 12 luglio 2015

La Stampa 12.7.15
Serve rigore sulle riforme non sui conti
di Stefano Lepri


L’Europa dovrebbe essere generosa anche se Alexis Tsipras non se lo merita affatto. O meglio generosa nei numeri, esigente nelle condizioni. Si può soccorrere la Grecia una terza volta, spedendo altro denaro, pur di essere certi che sia l’ultima. Ma se non si capisce dove si è sbagliato finora, come i tedeschi con tutta la loro durezza non capiscono, si sbaglierà di nuovo.
La pazienza è al limite: lo mostrano anche i sondaggi di opinione secondo cui in molti Paesi europei, non solo in Germania, i favorevoli a espellere la Grecia dall’euro sono più numerosi di coloro che vogliono soccorrerla. Eppure è necessario che l’Eurozona mostri di essere capace di risolvere anche un problema così intrattabile.
L’errore più grave sarebbe pretendere una stretta di bilancio aggiuntiva a quella già accettata dal governo di Atene. E’ vero che i 12 miliardi di tagli e aumenti di tasse offerti da Tsipras non sono più sufficienti a raggiungere l’obiettivo voluto nel 2015; ma a una economia nelle condizioni di quella greca non si può chiedere oltre. Mentre garanzie patrimoniali forse sì.
Si può sperare che il nuovo negoziato verta sugli strumenti per assicurare che quanto è concordato si realizzi davvero. La scelta ideale sarebbe combinare magnanimità sugli obiettivi di bilancio con un controllo severo sulle misure innovatrici, da prendere tutte nel giro di poche settimane. Manca la fiducia reciproca, si sente ripetere in queste ore.
Le ragioni per dubitare esistono. Già i precedenti governi ellenici, di ogni colore politico, non avevano rispettato diversi impegni. La tattica negoziale di Tsipras ha reso il salvataggio più costoso per i creditori, dai 74 agli 82 miliardi di euro invece di 53, e ha precipitato l’economia del suo Paese in una nuova recessione di portata ancora ardua da prevedere.
Inoltre Tsipras, dopo la ribellione dell’ala estremista del suo partito, non ha più una maggioranza sicura in Parlamento. Nel momento in cui dovrà tradurle in legge, le ampie concessioni fatte ai creditori dopo un risultato del referendum che sembrava precluderle gli potranno essere rinfacciate con facilità. Bisogna vedere quanto reggerà l’attuale concordia con le opposizioni democratiche.
Tra le riforme per far funzionare meglio l’economia ve ne sono per tutti i gusti, «di destra» e «di sinistra», si può scegliere. L’ostacolo vero è che per una parte di Sýriza tutte le riforme sono da respingere, comprese la liberalizzazione del mercato elettrico e i medicinali da banco al supermercato, in Italia realizzate da Pierluigi Bersani.
Ciò che stupisce, talvolta irrita, gli altri europei è come in Grecia per non cambiare nulla si possa invocare di tutto, dall’orgoglio nazionale alla dottrina marxista alle tradizioni sempiterne della «culla della democrazia». Ma ciò che è in discussione in queste ore va oltre le traversie di un piccolo Paese e il loro costo per gli altri.
Il necessario equilibrio non può essere raggiunto se ci si conforma alla «ideologia tedesca», incapace di spiegare perché un aggiustamento di bilancio dal 2010 al 2014 senza uguali nel mondo e un consistente taglio dei salari non siano stati sufficienti. Berlino insiste soltanto sugli errori di Tsipras, che sono enormi, ma non sa spiegare perché ha vinto le elezioni e tuttora le rivincerebbe.
O meglio, l’unica spiegazione offerta è che la Grecia è irriformabile e occorre liberarsene. Nel loro dialogo tra sordi, rigorismo nordico e massimalismo levantino mostrano una paradossale convergenza. I precedenti governi greci avevano tagliato spietatamente pur di non riformare. Stavolta occorre trovare un compromesso diverso.