mercoledì 8 luglio 2015

Il Sole 8.7.15
Cina, cresce la paura per la Borsa
Un’altra giornata nera a Shanghai - Contrattazioni sospese sul 25% delle società quotate
Pechino
Mercati finanziari in tilt e un’economia che viaggia ben al di sotto delle aspettative fissate per l’anno in corso: questo mix micidiale sta diventando un peso insostenibile per il futuro della Cina
di Rita Fatiguso


Il forte scossone di ieri in borsa, l’ennesimo da quando Pechino ha archiviato una lunga fase di toro per subire i contraccolpi dell’orso la dice lunga sul nuovo corso con il quale le autorità cinesi dovranno avere a che fare.
L’indice delle società tecnologiche di Shenzhen ieri ha perso il 5,8%, lo Shanghai composite ha chiuso a 3,727.13, in calo dell’1,3 per cento. Lo Shenzhen Component Index ha perso 700,16 punti per chiudere a 11,375.60. Sempre a Shanghai l’indice CSI 300 è sceso dell’1,8 per cento per chiudere a 3,928.
Il martedì nero delle borse cinesi prova, casomai ce ne fosse stato bisogno, la scarsa presa delle misure adottate nel weekend dal Consiglio di Stato per evitare il peggio, tra queste il blocco di una ventina di Ipo già in itinere e l’acquisto vincolato di azioni da parte di 25 fondi comuni di investimento per stabilizzare il mercato.
La Banca centrale cinese ha poi effettivamente iniettato 50 miliardi di yuan (pari a 8,2 miliardi dollari) nel mercato, ma è già la quarta iniezione di denaro consecutiva che Pboc effettua con il sistema del riacquisto di pronti contro termine. Un meccanismo del quale la stessa Banca farebbe volentieri a meno, difatti stava provando a sondare altre strade per sostenere la riforma dei mercati finanziari.
Invece, sembra che giovedì sia in arrivo un’altra valanga da 35 miliardi di liquidità.
Ben 11 banche hanno ottenuto più fiato per i prestiti a medio termine, con un’estensione a sei mesi di 250 miliardi di yuan all’interesse del 3,35. I tassi di interesse sono stati limati per quarta volta in sei mesi e così lo scorso 28 luglio i ratios, i coefficienti di riserva obbligatori delle banche.
In pericoloso aumento anche i titoli sospesi dalle negoziazioni. Quasi 200 aziende sono state congelate dai listini dopo la chiusura di lunedì scorso portando il numero totale a 745, in pratica il 26 per cento delle imprese quotate in Mainland China.
Il timore che il contagio da mancanza di fiducia passi dalle borse all’economia reale è molto forte. Ma la raffica di misure da parte del governo cinese, in risposta alla profonda crisi del mercato azionario, segnala un crescente senso di panico tra le autorità cinesi sugli effetti del contagio delle turbolenze finanziarie.
Sette anni fa la risposta è stata diversa quando i mercati andarono in crisi. Nel 2008, un periodo in cui c’erano meno singoli investitori si utilizzò la misura dello stimolo fiscale e la corsa allo sviluppo delle infrastrutture. Nel frattempo l’industria dei servizi è passata al 48,2 per cento del Pil rispetto ai 42,6 del settore secondario, ribaltando le posizioni. Una performance, quella dello scorso anno, che ha infuso ottimismo nelle autorità centrali, per le quali continuare con le riforme, in quelle condizioni sarebbe stato più semplice.
Invece, se il crollo del mercato azionario dovesse continuare, la fiducia dei consumatori ne sarebbe colpita, insieme alla stabilità finanziaria. Anche così, la fiducia potrebbe essere danneggiata da vendite massicce che il governo finora non è riuscito a fermare.
Quei 90 milioni di investitori individuali si sono giocati risparmi che adesso renderanno più difficile il pagamento di mutui e altre obbligazioni. Inoltre l’impasse della borsa blocca la strategia di creare una fonte di finanziamento alle pmi che adesso troveranno ancora più difficile trovare liquidità.
Il toro in borsa aveva fatto salire al 15,9% la quota di investitori individuali, ora che la febbre sta calando si cerca di evitare che anche l’economia reale sia contagiata.
Altri provvedimenti potrebbero essere in arrivo, nel frattempo anche le aziende cinesi quotate all’estero subiscono gli effetti negativi: Alibaba Group Holding Ltd. ha perso il 4,9% a 76,31 dollari a New York, il valore più basso da quando ha iniziato a navigare in borsa a Wall Street dallo scorso mese di settembre.
All’estero, intanto, la Cina crea alleanze strategiche anche in vista di possibili emergenze. Il gruppo dei Paesi Brics, pari a un quinto dell’economia mondiale, ieri ha dichiarato di voler creare un pool di riserve valutarie comuni da 100 miliardi di dollari per aiutarsi a vicenda in caso di problemi con liquidità in dollari.
Il fondo sarà uno strumento di assicurazione per il Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, partirà il 30 luglio, la Cina contribuirà con 41 miliardi dollari, mentre il Brasile, l’India e la Russia si impegnano a trovare 18 miliardi ciascuno e altri 5 miliardi di dollari saranno forniti dal Sud Africa. Giusto in caso di tempeste anche fuori dai confini territoriali.
In questi giorni il presidente Xi Jinping è in Russia proprio per un summit con i Paesi Brics e con lo Sco, il network che raggruppa molti Paesi euroasiatici sul fronte della sicurezza. Ma le tempeste monetarie in realtà spaventano i leader Brics che stanno pensando bene di mettersi già al riparo ben oltre la banca dei Paesi Brics che sta incontrando difficoltà a fare passi in avanti.