Corriere 9.7.15
Cina, la Borsa in caduta spaventa il partito
A Shanghai e Shenzhen bruciati in un mese tremila miliardi. Sospesi i titoli di circa 1.500 società Il governo di Pechino, che aveva cercato di arginare il crollo, appare spiazzato: «C’è panico diffuso»
di Guido Santevecchi
PECHINO Quasi un mese di caduta continua ha cancellato tremila miliardi di dollari di capitalizzazione dai due principali indici di Borsa in Cina. «C’è il panico, vendite irrazionali di titoli», ha ammesso ieri il portavoce della China Securities Regulatory Commission, l’organo di controllo del mercato, mentre il Composite Index di Shanghai perdeva un altro 5,9 per cento chiudendo a 3.507 punti: era arrivato a 5.166 il 12 giugno, dopo un anno di Toro scatenato che aveva fatto guadagnare oltre il 150 per cento al mercato (che in Cina è su due piazze, Shanghai e quella minore di Shenzhen). Ai grandi azionisti con oltre il 5% di un titolo è stato proibito di vendere per i prossimi sei mesi.
Per limitare i danni, negli ultimi due giorni 1.476 società, sulle circa 2.800 quotate tra Shanghai e Shenzhen, hanno sospeso la contrattazione dei loro titoli: un congelamento che vale circa 2.600 miliardi di dollari. Il panico quindi non è limitato al cosiddetto «parco buoi», la massa di circa 90 milioni di piccoli investitori cinesi che ora cercano disperatamente una via di salvezza per i loro risparmi, ma anche ai grandi gruppi industriali della seconda economia del mondo.
«La Cina fermerà l’Orso», scriveva ancora lunedì mattina il Quotidiano del Popolo , mentre entravano in vigore le misure straordinarie di soccorso elaborate dal governo. C’è il fondo da 19 miliardi di dollari costituito dalle agenzie di brokeraggio per acquistare i titoli dei gruppi statali più importanti; poi la sospensione di tutte le 28 Ipo (le Offerte pubbliche iniziali di società che vogliono quotarsi per la prima volta); è stato dato ordine alle compagnie di assicurazione di comperare; infine la Banca centrale ha annunciato un’iniezione di denaro nel sistema finanziario per permettere agli investitori di indebitarsi ancora e non uscire dalla Borsa. Ma in un mercato come quello cinese, popolato da almeno 90 milioni di piccoli investitori poco esperti e mal consigliati, non poteva servire. Solo gli investitori istituzionali seguono le disposizioni del governo e credono (o fingono di credere) al premier Li Keqiang che ha assicurato: «La Cina ha la fiducia e la capacità per gestire la situazione economica», ma non ha speso nemmeno una parola per la Borsa: ed è sembrato un chiaro segno d’imbarazzo, dopo l’offensiva fallita contro l’Orso.
Anche ieri i titoli in caduta sono stati 690 a Shanghai, con solo 12 positivi; rapporto di 609 a 146 a Shenzhen, che ha ceduto a fine giornata il 2,9%. Ha perso l’8,6% anche PetroChina, il colosso del petrolio statale. E altri mille titoli nelle due piazze sono stati sospesi per aver raggiunto il limite di ribasso in una seduta, che in Cina è fissato al 10%. La grande paura cinese si è estesa alle altre Borse della regione, da Hong Kong -5,9%, a Tokyo -3,1, a Seul, fino all’Australia.