Corriere 8.7.15
Panini e riunioni nella notte «L’Ue voleva ammazzarci»
di Maria Laura Rodotà
ATENE «Tesoro, tu pensi che me ne freghi qualcosa di tutto questo?», dice il Rilevante Esponente del gabinetto Tsipras — chiamiamolo creativamente X — mentre marcia per i corridoi del palazzo del governo, liquidando con un gesto i pannelli di marmo di Paros, i fregi, l’intero impianto neoclassico-Bananas della novecentesca Maximos Mansion. «Ne posso fare a meno anche domani. Torno dalla mia famiglia, nella mia isola, mi trovo un lavoro qualunque. Non sono qui per il potere». Casomai, per combattere contro i «fucking bastards». Quelli che «ci vogliono schiacciare».
Nessuno ha l’aria bellicosa, però, nella Maximos Mansion. Entrarci è entrare in pieno nell’altra dimensione che è ora la Grecia. Nella quiete irreale di chi aspetta il disastro e vuole mantenere un qualche aplomb. Nella spirale di questo e altri luoghi comuni tutti autentici, che subito convincono chi arriva. Il palazzo del governo, ora, è luogo da cinefili. Fa pensare che la politica a volte imiti il cinema; con la sua atmosfera da bunker sotto attacco, con i suoi ragazzi e ragazze indaffarati dagli occhi preoccupati, con i capi quarantenni che vanno avanti ad adrenalina. Che — complice l’architettura e i grossi mobili di pessimo gusto lasciati da precedenti governi — dopo cinque mesi hanno ancora l’aria di chi ha rovesciato una junta sudamericana e occupato con perplessità la magione del caudillo. Poi, per i mesi prossimi, sembrano prepararsi a una guerra.
È lunedì sera, poche ore prima che Alexis Tsipras parta per Bruxelles. È appena finita una riunione del governo, vanno via il vicepremier Yanis Dragasakis tra i saluti militari, il neoministro delle Finanze Euclid Tsakalotos («un laburista vecchio stile», sostengono nel palazzo) con zainetto in spalla. Gli uffici restano mezzi pieni. In qualche stanza ci sono dei letti, per chi finisce tardi e si ferma a dormire qui, e andrebbero bene per un assedio.
Bariste dei caffè vicini arrivano con vassoi. X e soci conquistano un tavolo, prendono panini discutibili da una busta di carta oleata, se la prendono con l’Eurogruppo, la Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale. «Ma che cosa vogliono da noi? In ventiquattro ore abbiamo stravinto il referendum, cacciato Varoufakis, ottenuto l’appoggio di tutta l’opposizione. Abbiamo un mandato e gli veniamo incontro. Domani andiamo a chiedere di riaprire le nostre banche».
E se non le riaprono? «Siamo stati senza banche per una settimana e non è successo niente, avete visto», rispondono alla giornalista italiana imbucata per due chiacchiere off the record che durano fino all’una di notte. E se le banche cominciano a fallire? «Chi le fa fallire si deve prendere le sue responsabilità. Se fallisce l’euro, la Germania si deve prendere le sue responsabilità». Perché, sostengono, sta andando così. «Juncker non ha autorità, si fa dettare la linea dai tecnici che si fanno dettare la linea dai tedeschi». Che poi «mettono il Fondo Monetario a fare il cattivo». Con cattiverie aggiunte: nei momenti clou delle riunioni, il direttore del Fondo Christine Lagarde comincia a spruzzarsi di profumo, informando gli astanti di aver voglia di «un po’ di bellezza nella stanza»; innervosendo le delegazioni, di Syriza e non.
Al netto delle fragranze, alla Maximos Mansion, raccontano «di trattative sabotate». Di aumenti dell’Iva per i ristoranti che secondo gli euro-esperti non bastavano, e ci voleva un aumento per gli alberghi, e poi forse no, e c’era sempre qualcosa. E, sempre, «dicono che sia stata Syriza a far precipitare la situazione in Grecia. Massì, è colpa nostra, fino a gennaio stavamo vivendo un periodo di straordinaria crescita economica». Ora, proprio no.
Se a Bruxelles va male, cosa farete? «Ci sono dei manuali per queste cose. Non leggete i manuali?». E si parla di riserve bancarie, di denaro già stampato. E ripetono: «Resisteremo. La dracma non è una nostra scelta. Siamo europeisti, quasi tutti, tranne un gruppetto di trotzkisti pazzi di cui faremmo volentieri a meno».
E insistono: «Non è più una crisi economica, è una questione politica. Volevano ammazzarci, ci hanno chiuso le banche, ci hanno dato per morti. Ma ora i Paesi dell’Europa mediterranea guardano a noi. Volevano far paura agli spagnoli per non farli votare Podemos, ai portoghesi, a voi italiani». Poi ipotizzano elezioni, di nuovo, in autunno, quando si voterà in Spagna e Portogallo. Si esce dal bunker e fa caldo, come in tutto il resto del Club Med.