martedì 7 luglio 2015

Corriere 7.7.15
Senato, rebus numeri: si slitta a settembre
Il capo del governo è pronto a mediare con le minoranze
Il capogruppo Rosato: ma senza diritti di veto
Oggi il via in commissione, con la maggioranza in difficoltà
di Monica Guerzoni


ROMA Pur di portare a casa la riforma del Senato il premier è pronto a convocare un tavolo con le minoranze, «gufi» compresi, per cercare la sintesi e chiudere un accordo solido. Ma senza fretta e senza «diritti di veto» spiega Ettore Rosato, che era al vertice con Renzi, Boschi e Zanda.
Oggi la riforma della Costituzione comincia il suo viaggio in commissione, ma c’è il rischio che si impantani subito. Non tanto per il pressing dei dissidenti del Pd, che vogliono introdurre l’elettività dei senatori. E nemmeno perché la macchina di Palazzo Madama, dietro le quinte, oppone resistenza allo smantellamento del vecchio Senato. Il vero rompicapo per il governo sono i numeri. In Aula la maggioranza balla sul filo di otto, nove senatori. E la situazione è ancora più a rischio in commissione, dove la maggioranza potrebbe andare sotto già sul calendario. E così la riforma è destinata a slittare: le votazioni in commissione inizieranno tra la fine di agosto e i primi di settembre. Una frenata che la sinistra del Pd interpreta come il tentativo, da parte di Renzi, di «rifare il Nazareno» per assicurarsi i voti di Berlusconi o di Verdini.
Nella Affari costituzionali presieduta da Anna Finocchiaro, che oggi terrà la sua relazione tecnica, maggioranza e opposizione sono 14 a 14. Parità sulla carta, perché la situazione è fluida. Tre dem (Gotor, Migliavacca, Lo Moro) risultano infatti tra i firmatari del «Documento dei 25», con cui i dissidenti chiedono di rivedere i punti cardine della riforma. Poi ci sono i tre di Ncd, che sulla scuola mandarono sotto il governo. Visto il garbuglio, il Pd lavora ai fianchi il presidente Pietro Grasso, sperando di convincerlo a togliere dalla prima commissione almeno uno dei cosiddetti «eccedentari»: ovvero i senatori dispari che rimangono dopo averne distribuiti in numero uguale per ciascuna delle 13 commissioni. Perché la riforma possa procedere, il fronte renziano deve prima vincere questa partita a scacchi. Ma se il Pd si appella al precedente del «lodo Schifani» del 2011 — in un caso analogo un senatore di opposizione andò via autonomamente — a Palazzo Madama si dice che Grasso non abbia alcuno strumento per modificare la composizione delle commissioni. Come se ne esce? Un senatore di opposizione dovrebbe fare il bel gesto. Un imbuto regolamentare, che ha convinto Grasso a stoppare il pressing nei suoi confronti: «Conosco e rispetto alla lettera il regolamento del Senato, non ho nessuno strumento per intervenire. Togliere un senatore a mia scelta dalla prima commissione sarebbe, stavolta davvero, una vistosa e intollerabile violazione del regolamento». Difficile prevedere come si sbloccherà l’impasse, creato dai cambi di casacca, dalle scissioni a catena e dalla nascita di nuovi gruppi.
Forza Italia potrebbe sacrificare uno dei suoi. Ma se venisse sostituito Riccardo Mazzoni, vicino a Verdini, ogni possibilità di andare avanti sarebbe preclusa. In questo rebus si fa anche il nome di Patrizia Bisinella, che ha lasciato la Lega per seguire il compagno Flavio Tosi e si è sistemata nel Misto. Ma se la capogruppo Loredana De Petris le chiedesse un passo indietro toglierebbe di mezzo una senatrice ben disposta verso le riforme... C’è sempre la giunta per il Regolamento, ma anche qui la maggioranza non ha i numeri.