Corriere 4.7.15
Un grande poeta in manicomio Le avventure politiche di Ezra Pound
risponde Sergio Romano
Ho trovato un articolo che riprende e rinfresca la vicenda di Ezra Pound. L’adesione al fascismo gli costò, dopo la fine della guerra, una perizia psichiatrica che lo dichiarò infermo di mente. Fu rinchiuso nell’ospedale criminale St. Elizabeth di Washington. I colleghi si divisero: Saul Bellow sostenne il giudizio, altri si adoperarono perché fosse liberato. So che fu anche candidato al premio Nobel per la letteratura che non ottenne in quanto ormai screditato. Ma era veramente schizofrenico o venne adottata una soluzione di compromesso tra quella che venne inferta a Brasillach e una dichiarazione di innocenza perché le idee non devono essere colpevolizzate? Potrebbe tracciare un profilo del personaggio?
Giovanni Allegri
Caro Allegri,
Dietro le simpatie di Pound per il fascismo non vi era soltanto la speranza, comune a molti intellettuali europei nel periodo fra le due guerre mondiali, che il regime di Mussolini avesse individuato una terza via fra capitalismo e comunismo. Vi erano anche appassionate ma fumose teorie sulla natura malefica del capitalismo americano e la ferma convinzione che l’intero sistema economico degli Stati Uniti fosse fondato sull’usura. Pound pensava che il maggiore responsabile fosse Franklin D. Roosevelt, presidente dal gennaio 1933 e autore di un piano economico (il New Deal) per il risanamento della economia e della finanza americana, dopo il collasso di Wall Street nel 1929. Furono queste le ragioni per cui Pound non esitò, negli anni del fascismo e dopo la creazione della Repubblica Sociale Italiana, a sostenerne pubblicamente, con molte conversazioni radiofoniche, il programma economico e sociale.
Per gli americani era un traditore e per molti di essi avrebbe meritato una condanna a morte, come quella che era stata inflitta dalla magistratura britannica a William Joyce, meglio noto come Lord Haw Haw: la voce di Radio Berlino che lanciava sarcastici messaggi dalla capitale del Reich contro l’Inghilterra. Ma Pound era un grande poeta, rispettato e amato dalla migliore intellighenzia europea e americana. Il processo, se fosse stato celebrato, avrebbe creato imbarazzo e proiettato un’ombra sulla giustizia degli Stati Uniti.
Fu scelta, come lei suggerisce nella sua lettera, caro Allegri, una via di mezzo. Anziché liberarlo o condannarlo, le autorità americane decisero di trattarlo come un matto. Niente di particolarmente nuovo. Era successo al Marchese de Sade, prima della Rivoluzione francese, e sarebbe successo, su scala maggiore, ai dissidenti sovietici di cui il regime voleva sbarazzarsi senza ricorrere a uno scomodo processo. Dopo la sua cattura a Rapallo (dove aveva stabilito la propria residenza italiana), Pound fu rinchiuso in una sorta di gabbia del campo di prigionia creato fra Pisa e Viareggio, e più tardi isolato in un ospedale psichiatrico americano a Washington.
Grazie a una campagna organizzata da alcuni fra i maggiori scrittori del tempo, fra cui Ernest Hemingway, e da un giovane editore italiano (Vanni Scheiwiller), Pound fu liberato nel 1958 e tornò in Italia dove visse a Venezia sino alla sua scomparsa nel 1972. È sepolto nell’isola di San Michele.