venerdì 3 luglio 2015

Corriere 3.7.15
Roma, il rilancio con l’olimpiade
di Aldo Cazzullo


L’ argomento secondo cui in Italia non si può fare nulla senza rubare non è purtroppo peregrino. Ma per Roma, oggi metafora italiana, l’Olimpiade può essere occasione di riscatto.
Roma oggi non è solo la capitale d’Italia; ne è la metafora. Un luogo meraviglioso, dalle grandi potenzialità, che però non è all’altezza di se stesso, non cresce, non investe, crea poco lavoro e molta corruzione. L’Olimpiade può essere un’occasione di riscatto: il simbolo del bisogno di ricostruzione che una parte crescente del Paese comincia ad avvertire.
Certo, il momento è tutt’altro che propizio. Roma è squassata da uno scandalo che coinvolge l’intera classe politica. E non è solo questione di malaffare. La città è male amministrata dal suo sindaco, e spesso maltrattata dai suoi stessi cittadini. L’ultimo disastro è Fiumicino, che in piena stagione turistica e alla vigilia del Giubileo funziona a singhiozzo, per le conseguenze di un cortocircuito che l’incuria ha trasformato in un rogo. In queste condizioni, non è affatto scontato che sia assegnata a Roma l’Olimpiade del 2024, a maggior ragione ora che si è candidata Parigi.
La Francia attraversa una crisi morale analoga a quella italiana. Le immagini di fenomeni molto diversi come le rivolte delle banlieue , gli attentati islamici, le violenze dei tassisti hanno dato la sensazione di una società attraversata da gravi tensioni. Eppure Parigi è una grande metropoli europea, con un livello di servizi, trasporti, offerta culturale superiore a quello di Roma; e dietro ha un Paese che conserva un peso internazionale superiore a quello dell’Italia. Questo non significa però che la battaglia — molto difficile — sia perduta.
È impressionante la differenza di percezione del nostro Paese dentro e fuori i confini. Se molti di noi sono arrivati a pensare che essere italiani sia una sfortuna, all’estero guardano all’Italia come alla patria dell’arte, della bellezza, della cultura, del gusto, della creatività: beni che nel mondo globale sono ancora più preziosi. E questo è importante, nonostante l’Italia eviti accuratamente di valorizzare il proprio patrimonio, di investire in turismo, cultura, infrastrutture, di cogliere le opportunità; forse anche dicendo troppi no a tutto quello che appare coraggioso, innovativo, fuori dagli schemi consueti.
Ha ragione Ernesto Galli della Loggia ( Corriere del 30 giugno), quando scrive che nei Paesi seri su una decisione così importante si discute in modo approfondito. Le sue obiezioni sono ragionevoli, non apocalittiche come altre che pure si sentono, quasi Roma fosse inadatta a ospitare folle ed eventi (mentre il passato dimostra il contrario). Galli della Loggia cita dati giusti, che devono far riflettere. Anche in contesti più virtuosi di quello italiano e di quello greco, come Londra, i costi sono lievitati e i visitatori si sono ridotti rispetto alle previsioni.
La Grecia spese troppo, senza cogliere la chance di sviluppo e di riconoscibilità internazionale. Pechino 2008 è fuori scala: il suo gigantismo segnò la celebrazione di un regime, e suggellò l’ascesa di una superpotenza. Più interessante è il caso di Londra 2012. Gli stadi e i palasport erano sempre pieni. Il tennis a Wim-bledon, l’equitazione a Greenwich, il beach-volley a Whitehall, il nuoto di resistenza a Hyde Park, lo stadio di atletica in un quartiere un tempo degradato e ora rilanciato: i Giochi sono stati un successo, oltre che una vetrina straordinaria per la città, con una grande partecipazione di volontari. È vero, c’erano meno visitatori del previsto; e la fuga dei londinesi abbienti dava l’impressione di una città non certo vuota, ma neppure strapiena. Però il rimbalzo è stato enorme. E oggi, come ha fatto notare con orgoglio il sindaco latinista Johnson, Londra è diventata la città più visitata al mondo. Superando appunto Parigi. Roma, nonostante il Colosseo e il Cupolone, non è neppure nelle prime dieci.
L’edizione del 1960, tra le più belle di sempre (come ha ricordato ieri sul Corriere Luca di Montezemolo), è un metro di paragone troppo lontano. L’Italia si riaffacciava sul mondo, dopo la ricostruzione e nel pieno di un boom economico che non le aveva tolto l’anima. Il vero punto di riferimento potrebbe essere Torino. Anche i Giochi invernali del 2006 lasciarono buchi neri, impianti poco o per nulla utilizzati. Ma segnarono la rinascita della città dopo la fine dell’era industriale. L’Olimpiade non è stata il fattore dirimente, ma il sigillo di una svolta costruita dai torinesi con il lavoro, l’innovazione tecnologica, l’apertura al turismo, gli investimenti nelle infrastrutture, nell’arte contemporanea, nella ricerca.
Lo sport italiano non è immune alla piaga nazionale della corruzione (come non lo è quello mondiale; si pensi alla penosa vicenda Fifa). Ma gli scandali devono essere occasione per fare chiarezza e pulizia, non per rifugiarsi nell’inazione. L’argomento secondo cui in Italia non si può fare nulla senza rubare non è purtroppo peregrino, ma rischia di diventare un alibi umiliante. Si crei invece una struttura, coinvolgendo i magistrati, che vigili sull’onestà e l’efficienza dell’organizzazione.
Roma 2024 è oggi solo una possibilità. Ma non è un incubo; a maggior ragione ora che le nuove regole del Cio limitano il gigantismo e consentono di coinvolgere altre città. Può essere, sul piano sia economico sia simbolico, una tappa della ricostruzione cui devono contribuire la capitale e l’intero Paese.