venerdì 3 luglio 2015

Corriere 3.7.15
Lo scambio virtuoso
di Francesco Giavazzi


Ad Atene i sondaggi lasciano intravedere, pur con grande incertezza, una vittoria dei sì. Fra coloro che intendono esprimersi per il sì, la maggior parte interpreta il voto come una scelta di rimanere nell’euro e nell’Unione Europea. Sono gli anziani e i pensionati
i più favorevoli al sì: forse perché, diversamente dai giovani, apprezzano, essendoci passati, che cosa significhi navigare senza il timone dell’Europa. La scelta dei giovani, invece più favorevole al no, è preoccupante. E non solo per la Grecia. L’Europa non va da nessuna parte se perde il consenso dei giovani.
Come è più volte accaduto, soprattutto in Europa, le crisi sono l’occasione per le scelte coraggiose. Nel giugno 2012, quando molti investitori, soprattutto americani, scommettevano che l’Unione monetaria di lì a qualche settimana sarebbe stata sciolta, il Consiglio europeo varò l’unione bancaria.
La de-nazionalizzazione della vigilanza sulle maggiori banche europee — in pratica inviare ispettori finlandesi a controllare le banche portoghesi — è la modifica più rilevante dell’architettura europea da quindici anni in qua. A questo seguì l’ a qualunque costo di Mario Draghi, impegno che aprì la strada a ingenti acquisti di titoli pubblici da parte di Francoforte, cosa impensabile solo un anno prima.
Se vinceranno i sì, i capi di Stato europei debbono dimostrare ancor più determinazione, perché la crisi è più grave di cinque anni fa. Devono convincere i giovani greci, anche quelli che voteranno no, che l’Europa è la loro sola speranza.
Come farlo? In Grecia facendo sì che l’economia ricominci a creare opportunità di lavoro: nel privato, non nel settore pubblico. A Bruxelles facendo un passo avanti nell’integrazione così che un’altra vicenda greca sia d’ora in avanti meno probabile. E soprattutto dando l’idea che l’Europa è qualcosa di più nobile di un punto di aliquota dell’Iva. Per questo secondo obiettivo basta seguire le indicazioni contenute nel rapporto che giovedì scorso i «Cinque presidenti», Schulz, Juncker, Tusk, Dijsselbloem e Draghi, hanno consegnato ai capi di Stato europei, delineando un progetto di integrazione realistico per i prossimi anni.
Per crescita e lavoro occorre ribaltare l’impostazione dei programmi di aiuto alla Grecia. Quelli su cui si è litigato per sei mesi erano vincolati dal rifiuto di Tsipras di avviare riforme profonde dell’economia — mercato del lavoro, mercati dei beni e dei servizi, giustizia, un allungamento significativo dell’età lavorativa — senza le quali non ci possono essere né crescita, né lavoro. Di queste cinque riforme l’Italia ne ha fatte due, lavoro e pensioni, e i risultati si cominciano a vedere. Non potendo fare queste riforme, ad Atene ci si è concentrati sui conti pubblici limitandosi ad alzare le tasse: non è così che si rimette in piedi un’economia stremata.
Bisogna quindi partire dalle riforme negoziando flessibilità fiscale (sia sul deficit che sui tempi di rientro dal debito) in cambio di riforme. In questi mesi il meno aperto, oltre a Tsipras, si è dimostrato il Fondo monetario internazionale perché ai suoi azionisti, per la più parte Paesi emergenti, la Grecia non interessa, e forse anche perché la signora Lagarde ha appena chiesto che il suo mandato venga rinnovato e per ottenerlo ha bisogno dei voti dei Paesi emergenti. Del Fondo non c’è bisogno: questa volta possiamo far meglio da soli con la vigilanza della Commissione europea.
In Europa c’è un capo di governo che è riuscito a scambiare riforme per flessibilità. Non è Hollande, l’interlocutore speciale dei tedeschi, che tuttavia non ha né ridotto il deficit, né fatto alcuna riforma significativa, ma Matteo Renzi. A fronte del Jobs act Renzi ha ottenuto da Bruxelles e dalla signora Merkel un allentamento dei vincoli fiscali (quasi mezzo punto di Prodotto interno lordo in meno nella scorsa legge di Stabilità). Nei prossimi giorni il presidente del Consiglio dovrebbe far leva su questo spostamento di baricentro per tentare di coagulare consenso permettendo di ripetere almeno quanto fatto nel giugno 2012. Aiuterebbe i giovani greci, aiuterebbe l’Europa e, non ultimo, potrebbe essere l’occasione per ritrovare lo smalto, oggi un po’ appannato, dei primi mesi di governo.