Corriere 14.7.15
Senato, la nuova maggioranza (variabile)
Si arriva potenzialmente a quota 179 se si considerano i possibili fuoriusciti di area FI e gli ultimi due ex M5S
I numeri però dipendono dai provvedimenti. Distanze sulle unioni civili. Avanti sulla Rai, critiche di Anzaldi
di Dino Martirano
ROMA L’ultimo conteggio segnala una maggioranza variabile al Senato, capace di gonfiarsi a seconda del provvedimento trattato, che si assesterebbe alla quota di sicurezza di 179 voti (la maggioranza è di 161) grazie agli inserimenti di 11 neo responsabili guidati da Denis Verdini (FI), con la sua «Azione liberale», e da due ex grillini.
Eppure, al di là dei numeri del Senato, a provocare più di una preoccupazione alla maggioranza ora c’è anche la riforma della Rai che, almeno sulla carta, può contare sui voti dei partiti di governo e su quelli di Forza Italia: in teoria, con il provedimento approvato in Commissione in un clima di sostanziale accordo tra Pd e FI, il testo sulla nuova governance di Viale Mazzini non avrebbe ostacoli parlamentari da affrontare. Tant’è che già giovedì (se la capigruppo di oggi darà il via) il ddl Rai arriverà in aula al Senato per transitare subito dopo alla Camera.
Ma nelle ultime ore alcuni renziani si sono messi in moto per fare le pulci al testo votato in Commissione al Senato dove i veterani Paolo Romani e Maurizio Gasparri di FI non si sono fatti sfuggire una sola virgola. Il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, conferma che il testo presto andrà in Aula e che le modifiche ci saranno ma non produrranno stravolgimenti. Anche uno dei relatori, il socialista Enrico Buemi, dice che l’impianto regge anche se bisognerà rivedere le incompatibilità dei consiglieri di amministrazione. E anche il sottosegretario Antonello Giacomelli lascia intendere che la strada ormai è tracciata.
Eppure il deputato renziano Michele Anzaldi, membro della commissione di Vigilanza, segnala che tutto l’impianto andrebbe rivisto: «Si immaginava una Rai con meno politica dentro, qui invece ci si lega le mani con maggioranze rigide per eleggere il presidente. Speriamo che al Senato ci ripensino». Paradossalmente, dunque, il Pd rischia di complicarsi la vita anche quando non ci sono problemi di numeri.
Ma dietro l’angolo ci sono altre prove in cui i numeri contano, eccome. Però «Azione liberale», il gruppo di 11 soccorritori del governo di Verdini, potrà tamponare solo in parte l’«emorragia» minacciata dai 25 ribelli della minoranza del Pd sulla riforma costituzionale. E poi gli 11 verdiniani nostalgici del Nazareno non potranno sostituire il Nuovo centrodestra-Ap (36 seggi a Palazzo Madama) nel caso si andasse alla resa dei conti sulle unioni civili che Angelino Alfano giudica come la peste: per questo, nel patto di maggioranza, ci sarebbe un rinvio sine die delle unioni civili. Così ieri, un vertice per tentare di far ripartire le unioni civili tra Giorgio Tonini (Pd) e Renato Schifani (Ncd) è saltato all’ultimo momento.
Eppure, nonostante le difficili prove per il governo, l’apporto dei verdiniani è considerato ossigeno puro nella maggioranza. Ma ora il passaggio delicato è quello, «senza l’incubo dei numeri», della Rai: maggioranza sicura ma tensioni nel Pd (e in casa Rai) con l’ombra di un «inciucio» con Forza Italia. E stavolta minoranza dem e «gufi» vari non c’entrano.