lunedì 13 luglio 2015

Corriere 13.7.15
«La macchina è in parte marcia Io non mi arrendo, posso farcela»
Il sindaco di Roma e le critiche di Galli della Loggia: ho rotto le vecchie incrostazioni
di Ignazio Marino, risponde Ernesto Galli della Loggia


Caro direttore,
nel suo articolo di ieri Galli della Loggia affronta due distinti problemi: un giudizio sul mio lavoro da sindaco e uno sulla possibilità di amministrare e di governare una città come Roma e, più in generale, il nostro Paese. Comincio dalla seconda questione.
L’analisi si apre dall’assunto che la macchina amministrativa pubblica sia sostanzialmente marcia e che i tentativi di governo si infrangono contro questa realtà. È in gran parte vero, ma è anche una sorta di De profundis sull’Italia con cui non sono d’accordo. In molti siamo animati da passione e determinazione per cambiare le cose ed esiste una classe dirigente moderna dotata di capacità che ha avviato profonde e radicali riforme. È quanto in atto da due anni a Roma e che il governo di Matteo Renzi sta facendo nello Stato. La resistenza strenua ad ogni tipo di innovazione, le eredità negative esistono certamente e sono fortissime ma arrendersi è una scelta che non farò mai. So bene quanti problemi abbia la macchina amministrativa pubblica, ma le generalizzazioni sono sempre sbagliate perché nel mio lavoro ho incontrato tanti dipendenti e dirigenti onesti, competenti e animati da professionalità e voglia di fare.
Ciò che ho fatto è stato rompere le vecchie incrostazioni di favoritismo e familismo (queste sì un cancro lasciato da una destra e da un consociativismo segnati dalle inchieste giudiziarie su parentopoli e collusioni con la mafia), per introdurre il merito come stella polare nelle scelte che riguardano l’amministrazione. Si guardi come abbiamo cambiato i vertici di Acea, o ai bandi pubblici internazionali per il city manager o la guida amministrativa nelle nostre istituzioni culturali famose in tutto il mondo.
Mai abbiamo guardato al consenso facile e all’azione di corto respiro, magari decisa nei salotti o sulle terrazze della Roma che conta, per dare una nuova prospettiva e un futuro più solido, con visione a lungo raggio. Per esempio, per il ciclo dei rifiuti ci siamo imposti l’obiettivo della differenziata e del «zero waste» per arrivare puntuali all’appuntamento del 2030 con lo spegnimento degli inceneritori in tutta Europa. Cambi anche impopolari. Ma guardare in avanti, senza seguire l’immediato consenso, non è forse compito precipuo proprio di quella politica che traccia le linee d’azione e chiama la macchina amministrativa a tradurre il pensiero in atti, come invocato nell’articolo? Ci sono lentezze, errori e talvolta anche sconfitte nell’azione di chi vuole cambiare? Certamente sì, è una piaga dell’Italia, ma alzare bandiera bianca è la risposta peggiore.
Veniamo ora al giudizio sulla mia persona. La prima critica è quella di essere metà genovese e metà palermitano (perché palermitano poi?). Roma è la città in cui sono cresciuto come adolescente dal 1969 e diventato adulto. In cui ho iniziato a lavorare da chirurgo e in cui sono tornato a vivere perché eletto senatore. Alle sue bellezze e ai suoi problemi non sono mai stato estraneo, neppure quando vivevo negli Usa. La polemica sulla mia romanità è stucchevole: questa sì è frutto di un campanilismo provinciale: essere romani da sette generazioni non garantisce una migliore capacità di governo.
C’è poi l’accusa di aver cercato facile visibilità e si cita la chiusura alle macchine di via dei Fori imperiali, definendo la strada una fondamentale arteria di traffico. L’idea che ho voluto combattere è proprio quella che una striscia d’asfalto in mezzo alla storia della civiltà occidentale possa sopportare il passaggio di 38 mila auto al giorno, e che il Colosseo — il monumento più famoso al mondo — possa essere relegato a rotonda spartitraffico. La chiusura dell’area è un cambiamento di abitudini, difficile solo in Italia, che la città insegue dal 1877 quando Guido Baccelli propose per la prima volta una legge per la realizzazione del più grande parco archeologico della Terra.
Sicuramente l’idea è piaciuta più al New York Times e alla Bbc che ai giornali romani. Ma due anni dopo credo che tutti apprezzino questa piccola-grande rivoluzione, per di più da poche ore liberata da bancarelle e camion bar dopo decenni di discussioni e zero risultati.
Se vogliamo parlare dell’efficacia dell’azione della giunta e mia possiamo farlo, ma affrontando temi reali, come il fatto che ho alienato o venduto oltre venti società inutili, cancellato contratti milionari a favore di possessori di immobili privati, contrastato il commercio abusivo, riscritto i contratti abolendo privilegi e premiando il merito, chiuso le porte a ladri e criminali (che certo non mancano), confrontandosi sulle soluzioni possibili. A questo confronto sono sempre pronto.
* sindaco di Roma

Dopo aver letto la verbosissima lettera del sindaco Marino (un esempio tra mille della invincibile resistenza dei politici italiani e dei loro uffici stampa a convincersi che la concisione è una virtù), con tutte le cose egregie da lui fatte e messe in cantiere, mi chiedo: dato che è di dominio pubblico la scarsa popolarità di cui da tempo lo gratifica la popolazione romana e allo stesso tempo il disamore che il suo stesso partito gli manifesta, a che cosa il sindaco crede che ciò si debba? E a che cosa dovremmo noi attribuirne la responsabilità? A un complotto mediatico? Al caso? A che cosa?
Quanto alla sua persona, prendo atto dell’invidiabile pedigree romanesco che egli vanta. Ma ai miei occhi ciò rende ancora più stupefacente la sua assoluta incapacità di entrare in sintonia con il cuore e le viscere della sua città, di ascoltarla e di farsene ascoltare.
Ernesto Galli della Loggia