martedì 9 giugno 2015

Repubblica 9.6.15
I ragazzi milionari di Pechino
È il boom dei baby paperoni il fenomeno che sta cambiando volto e anima alla Cina: 6 ultra-ricchi su 10 hanno meno di 35 anni e crescono al un ritmo di uno a settimana Il loro segno distintivo? Lussi hi-tech, consumi sfrenati e ferie in Antartide
di Giampaolo Viretti


PECHINO LA Cina e il resto del mondo scoprono la «generazione dei baby-paperoni», e si aggrappano ai nuovi milionari under 35 di Pechino per alimentare la crescita senza fine dei consumi. Il boom dei ricchi nati tra il 1980 e il 1990 è il fenomeno che sta rivoluzionando la seconda economia del pianeta. In Europa il benessere è ormai un’esclusiva di anziani e over 50: al di qua della Grande Muraglia è invece appannaggio dei giovani, spesso dei giovanissimi, capaci di accumulare una fortuna in pochi mesi. Sono questi “piccoli imperatori” rossi, innamorati del capitalismo e del consumismo occidentali, a formare la leva che si candida a governare la famiglia, l’impresa e presto anche il partito-Stato della superpotenza del secolo. Banchieri, industria del lusso e sociologi cominciano a sollevare il velo che per anni ha consentito alla ribattezzata “categoria tripla A” di germogliare all’ombra dei mega-conglomerati pubblici sopravvissuti a Mao Zedong.
Un rapporto di Ubs rivela che in Cina, nel primo trimestre 2015, ogni settimana un giovane è diventato milionario partendo dalla povertà. Per la prima volta, lo scorso anno, i milionari cinesi hanno superato il milione: sei su dieci hanno meno di 35 anni, l’80% meno di 50. Nel giro di un decennio i miliardari della Repubblica popolare sono passati da zero a 388, secondi solo ai colleghi degli Stati Uniti. Secondo l’ultimo studio Hurun, 60mila cinesi dispongono oggi di un capitale superiore a 200 milioni di dollari, mentre 300 milioni sono coloro che il Financial Times definisce “millennial”, la giovane generazione che demolisce la vecchia Cina senza mobilitazioni democratiche, ma a colpi di smartphone, Suv tedeschi e ferie in Antartide. La percentuale, in rapporto a una popolazione da 1,3 miliardi di persone, ridimensiona il fenomeno: i mercati scoprono però che il club dei superricchi e quello dei grandi consumatori della Cina non sono paragonabili agli exploit passeggeri, sottodimensionati ed energia-dipendenti di Russia e Paesi arabi.
In cinque anni il numero dei magnati cinesi under-35 è raddoppiato. Costoro si spartiscono una ricchezza privata pari a 13 mila miliardi di euro, in aumento di un altro 15% entro dicembre. I capitali personali, nel paese che con la rivoluzione maoista aveva promesso di abolirli, diventano ogni giorno più grandi, più diffusi e più stabili, perché frutto di business diversi. Che i figli unici dei vecchi compagni comunisti fossero i nuovi paperoni capitalisti lo si sospettava da tempo: la sorpresa è che alla metamorfosi finanziaria corrisponde anche quella sociale e culturale, da cui nasce quella che il Quotidiano del Popolo ha definito con preoccupazione «generazione a-cinese ».
Mai, nell’era moderna, un numero tanto alto di connazionali ha potuto disporre di capitali tanto ingenti in così giovane età e questo capovolgimento nella distribuzione anagrafica della ricchezza minaccia di destabilizzare la Cina, ma pure di rivoluzionare il mercato globale del lusso. La ragione è che i giovani cinesi usciti dalla povertà sono già l’opposto sia dei loro genitori che della classe media tradizionale di Europa, Stati Uniti e Giappone, cresciute nella seconda metà del Novecento. Un sondaggio dell’Università di Pechino ha scoperto che la «generazione cinque stelle » non risparmia e pensa che tutto ciò che si guadagna debba essere speso «per vivere meglio subito ».
Il denaro è in testa alla gerarchia dei valori, assieme alla carriera e al «potere esercitato su famigliari, amici e colleghi». I ricercatori avvertono che applicare «alle giovani tigri cinesi» gli schemi del passato, considerandole inesperte, è un grosso errore. Costituiscono invece un autentico fenomeno sociale, la versione contemporanea di massa del neo capitalismo hi-tech. In Cina, in un decennio, questo enorme bacino di iper-consumatori ricchi e benestanti è cresciuto del 250% e vanta un reddito disponibile che va da 45 mila a oltre 1 miliardo di euro all’anno. Non sono tutti cloni di Jack Ma, il padrone dell’e-commerce, ma li accomunano tecnologia, finanza e nuovi business connessi alla comunicazione elettronica. In meno di cinque anni la Cina è già saltata dal socialismo reale e dalle fabbriche piene di operai, al capitalismo hi-tech fondato su applicazioni per cellulari e robot. E quando si parla di lusso, nessuno può più prescindere dai tuhao, termine che dai vecchi latifondisti imperiali è passato a definire i giovani collezionisti di orologi svizzeri.
Il loro profilo è definito: uno su quattro ha la laurea, nessuno si sposa prima di 35 anni, tutti vivono in una metropoli e sanno l’inglese, non uno trascorre meno di quattordici ore al giorno attaccato allo smartphone, facendo ricerche online al pc, o davanti alla tv. Quasi il 60% dirige un’impresa, il 30% la possiede, gli altri appartengono già al livello più alto dei funzionari pubblici. La loro ossessione, memori dei ricorrenti rovesci della storia cinese, è «godersi la vita il più possibile finché è possibile». Il primo investimento è per la casa, il secondo per una villa in Europa o negli Usa, il terzo «per tutto ciò che è acquistabile». In testa ai consumi ci sono gioielli, automobili e alta moda, ma la tendenza con il maggior impatto sociale sono i viaggi.
Due anni fa, per la prima volta, oltre 100 milioni di cinesi hanno fatto una vacanza all’estero. Lo scorso anno i turisti cinesi hanno superato quelli americani per denaro riservato alle ferie in un Paese straniero. Entro il 2020 oltre 200 milioni di giovani consumatori cinesi trascorreranno ogni anno da due a quattro periodi di riposo all’estero, invadendo aeroporti, hotel e negozi di ogni continente. I tour operator cominciano a scoprire cosa pretende un esercito di giovani, single, ricchi, asiatici, istruiti, al primo viaggio oltre i confini della patria e con un potenziale di 15 mila euro solo per lo shopping. Vogliono quello che il rapporto “International luxury travel market” ha chiamato «esperienza estrema di conoscenza». Da Bali al Polo, da Parigi a Miami, non cercano più la borsa firmata e la foto ricordo, ma «guardare e capire, per poi tornare a casa e sfruttare quanto hanno appreso per diventare ancora più ricchi e acquistare ancora più beni». «Rispetto ai primi milionari partoriti dai regimi comunisti — ha spiegato Duan Xinxing, docente di psicologia alla China University of Mining and Technology» — i giovani cinesi sono più colti, aperti, tecnologici e attratti dallo stile di vita occidentale. La piena occupazione, l’abilità digitale e il protagonismo sui social media li porta ad avere fiducia e a investire sul futuro: un confine che li separa nettamente dai coetanei, aspiranti, grandi consumatori dell’Occidente ». I guru di pubblicità e marketing, attardati sul profilo del pensionato giapponese, sono costretti a ripensare il cliente.
Con l’irrompere sulla scena della “generazione tycoon” cinese, la missione non è più convincere a spendere, ma spiegare perché una spesa può rendere più di un’altra a livello culturale, o emotivo. «Il mondo deve buttare i modelli chiusi e superficiali del consumismo moralista occidentale appaltato alla terza età nazionale — osserva l’economista Wu Xiaobo — e creare un sistema adatto a rispondere alla domanda di una civiltà millenaria che per la prima volta accetta che siano i giovani a spendere la propria ricchezza e che lo facciano subito e anche all’estero».
Ai primi di giugno, per celebrare la giornata mondiale dell’infanzia, trecento famiglie del Guangdong hanno accompagnato i loro figli a visitare il quartiere extra-lusso di Qingyuan. Ogni fine settimana migliaia di bambini cinesi, invece che a giocare in cortile, vengono portati in gita tra ville, yacht, gioiellerie, maneggi per cavalli di concorso e concessionari di fuoriserie. La cura materialista è somministrata dagli stessi genitori, decisi a educare il gusto insegnando «a pretendere il meglio e a dare il massimo per conservarlo». La Cina dei “giovani AAA” è un universo ignoto, reduce dall’annullamento e forse affacciato sul vuoto: ma rinunciare a guardarla, disprezzarla, o sottovalutarla, è un errore che l’autoritarismo di Pechino e le democrazie dei mercati internazionali cominciano a intuire di non potersi più permettere.