martedì 9 giugno 2015

Repubblica 9.2.15
La scrittrice Elif Shafak
“Ora il partito dei curdi è la prima forza progressista grazie ai ragazzi di Gezi Park”
intervista di M. A.


ISTANBUL . Elif Shafak, come guarda un’intellettuale, una scrittrice, una donna come lei da sempre attenta all’evoluzione politica della Turchia, al risultato sorprendente uscito dalle urne?
«È stata l’elezione più stressante. Con un’atmosfera piena di tensione, polarizzata. Molta gente ha capito che andava a votare non solo per i partiti, ma per adottare il sistema presidenziale oppure no».
Arrivare a una Repubblica presidenziale con una maggioranza ampia in Parlamento, senza passare per un referendum popolare, era in effetti l’idea del presidente Erdogan. Un obiettivo mancato, però.
«È stato tutto troppo pesante, troppo teso. Onestamente, come scrittrice, come donna, come democratica e femminista, non voglio che nessuno abbia mai troppo potere. Perché chi arriva al potere ne vuole sempre di più.... Troppo pericoloso. Io sono contenta del risultato perché non desidero che il potere sia concentrato nelle mani di una sola persona o di un singolo partito. Una vera democrazia funziona se c’è equilibrio, separazione dei poteri. Adesso in Parlamento abbiamo quattro grandi partiti. Ma la cosa più importante è far tornare il pluralismo, il rispetto della legge, la libertà di stampa e di espressione».
In un recente articolo sul Financial Times lei aveva scritto che “l’unità turca può essere la sorpresa di un regalo curdo”. Come è riuscito Selahattin Demirtas, il leader del nuovo partito curdo, a vincere superando per la prima volta uno sbarramento elettorale così alto come quello del 10%?
«Questo è uno sviluppo sociale interessante. Per molti anni l’élite turca ha rimpicciolito la cultura curda parlandone come di una cosa “di secondo livello”. Ma adesso i curdi sono diventati qui la più importante forza progressista. Oggi molti turchi liberali, democratici, intellettuali, secolaristi e kemalisti sono contentissimi che i curdi esistano. Un grande cambiamento di mentalità».
E come ci si è arrivati?
«Demirtas ha trasformato l’Hdp, il suo partito, da una forza regionale in una nazionale. E invece di usare un linguaggio divisivo o settario, ne ha scelto uno inclusivo e coinvolgente. Ha parlato dei diritti non solo dei curdi, ma di turchi, alauiti, armeni, donne, gay…. Si è mostrato positivo verso tutte le minoranze. In futuro l’Hdp non dovrà perdere questo approccio».
Demirtas ha fatto sue alcune istanze emerse nel 2013 durante la protesta di Gezi Park, poi repressa nel sangue e dispersa?
«Altroché. Si è concentrato sul bisogno di maggiore democrazia, sulla società civile, sull’ambientalismo. È interessante notare come sostenitori dei socialdemocratici o dei nazionalisti abbiano addirittura votato per lui, in modo che i curdi passassero lo sbarramento. Persone che normalmente non sarebbero state “amiche” lo sono così diventate dopo Gezi. Questo è un cambiamento sociologico importante. Si sono sentiti tutti soli, vulnerabili. Mentre durante gli eventi di Gezi il governo era duro, intollerante, e Erdogan usava un linguaggio divisivo. Metà della società si è così sentita estraniata. E questa metà — in cui ci sono curdi, liberali, kemalisti, alauiti, femministe, nazionalisti persino — si è autosostenuta alle elezioni. Questo è uno sviluppo nuovo».
Che tipo di leader è Demirtas?
«Un politico che sa usare lo humour! Qui sono tutti così aggressivi, maschilisti, molto pesanti. Abbiamo perso il nostro senso di leggerezza. Invece lui, in campagna elettorale, non ha perso né l’umore né la calma. Persino quando è scoppiata una bomba e c’erano dei feriti Demirtas è riuscito a calmare gli animi. Può sembrare un piccolo dettaglio, ma è determinante. Pure il suo background da avvocato per i di- ritti umani ha giocato un ruolo».
Adesso come reagirà Erdogan? Sarà imparziale?
«Non lo sarà. Lo abbiamo visto chiaramente durante le elezioni. L’ufficio della Presidenza della Repubblica di norma richiede neutralità ed equidistanza. Invece Erdogan ha sostenuto in modo aperto e attivo il proprio partito. Ha chiesto che la gente lo votasse. Non credo proprio che questo atteggiamento cambi presto».