martedì 9 giugno 2015

Repubblica 9.6.15
Sulle alleanze è stallo. L’incertezza fa crollare i mercati
Il presidente Erdogan tace. È probabile che Davutoglu non venga riconfermato
Più vicino il ritorno alle urne
“Fermato il Sultano” l’opposizione esulta Ma nessuno è in grado di formare il governo
di Marco Ansaldo


ISTANBUL LA BORSA di Istanbul crolla, la Banca centrale di Ankara corre in soccorso della lira turca, e il presidente Erdogan rimane in silenzio. Tre dati che bastano a fotografare lo shock della Turchia per il risultato di domenica alle urne. Con il partito conservatore di origine islamica in emorragia di voti (un secco meno 9%), la maggioranza assoluta persa, e lo sbarco per la prima volta di una formazione curda (Hdp, Partito democratico del popolo) che irrompe in Parlamento con 80 nuovi deputati.
A stupire più di tutto, però, nei commenti di strada in una Istanbul grigia di nuvole, ma già affollata di turisti stranieri, era l’insolito silenzio del leader. Un silenzio inquietante. I turchi sono abituati ad ascoltare Erdogan parlare in tv a qualsiasi ora. Nei mesi scorsi mesi il presidente aveva intensificato l’occupazione totale della scena politica, viaggiando durante la campagna elettorale in tutto il paese e oltre (cercando voti pure fra gli espatriati in Germania), rilasciando interviste ai media di fiducia. Eppure, in queste ultime 48 ore, Erdogan ha fatto perdere le tracce di sé. Così, un sito ha pubblicato un cronometro che, secondo dopo secondo, segna il tempo dell’assenza.
Solo un comunicato impersonale ha rotto gli indugi: «I risultati — diceva la nota presidenziale — non danno l’opportunità ad alcun partito di formare un governo da solo». Un annuncio chiaro nella sua stringatezza, che chiude la porta a un esecutivo monocolore, aprendo invece a una coalizione. La partita si preannuncia serrata. Con una situazione quanto mai incerta. I mercati hanno reagito con il tonfo della lira e della Borsa. Adesso Erdogan, dopo essere sceso nell’agone elettorale nonostante rappresentasse la più alta istituzione del Paese, torna ad essere — almeno in teoria — arbitro. Dovrà trovare un premier incaricato. Difficile che tocchi di nuovo ad Ahmet Davutoglu, prima il suo faro nella politica estera, poi il suo successore alla testa dell’esecutivo. Davutoglu ha fallito come tribuno. È un ottimo teorico, ma non un uomo della piazza, come invece lo è sempre stato in modo naturale il Fondatore del partito. Spiega So- li Ozel, docente all’Università Kadir Has: «Qualcuno pagherà il prezzo di tutto questo, e immagino che sarà il premier. Ma il vero sconfitto è senza dubbio Erdogan ». Intanto i giornali d’opposizione esultano: per loro è una una vittoria della democrazia sull’autoritarismo. Per Taraf gli elettori hanno bloccato il tentativo del presidente di trasformare il paese in una «dittatura», Za incalza scrivendo che i turchi «hanno detto basta!» al Sultano.
I segnali di fumo verso le altre formazioni politiche sono arrivati nel pomeriggio. Due vice del partito conservatore islamico si sono espressi a favore di una coalizione con una o più altre forze, definendola un’opzione migliore rispetto a elezioni anticipate. Il solo partner possibile sembra- no i nazionalisti. Se la proposta però fallisse, il Sultano dovrebbe ripiegare sul partito socialdemocratico. Un terzo scenario contempla addirittura l’ipotesi delle due compagini di destra e di sinistra assieme alla nuova formazione curda, unite nel tentare un accordo tecnico, pur di far fuori il partito del presidente. Ma come reagirebbe Erdogan di fronte a una simile richiesta, posto che qualcuno gliela faccia? E comunque, se entro 45 giorni dalla proclamazione dei risultati, non si trova un governo, il ritorno alle urne sarà inevitabile.
Il ciclone curdo ha intanto spazzato molta polvere. Aria nuova è in arrivo nell’Assemblea di Ankara, con 97 donne, 3 armeni cristiani, 2 yazidi, 1 assiro e il primo rom. La crescita della presenza femminile , le deputaman te sono aumentate da 79 a 97, è un balzo notevolissimo, dovuto in gran parte al superamento della soglia del 10% ottenuto dall’Hdp. I curdi avevano il maggior numero di donne in lista e avranno ora la quota più alta di deputate di un gruppo parlamentare nella storia del Paese: il 40%. Anche questa è una svolta storica per la Turchia.