sabato 6 giugno 2015

Repubblica 6.6.15
Alfonso Sabella
L’assessore alla Legalità a Roma: amareggia vedere che alcuni consiglieri della Capitale si sono venduti per mille euro al mese
Non ha idea di quante carte false, truccate, ho trovato e non solo della giunta Alemanno
“I dirigenti corrotti ancora in Comune il Parlamento ci dia i poteri per cacciarli”
intervista di Giovanna Vitale


ROMA Alfonso. Sabella, con il suo passato da pm antimafia non prova imbarazzo a stare dentro un’amministrazione così pesantemente compromessa?
«Io sto qua dentro proprio perché era così compromessa, altrimenti non avrebbe avuto senso nominare un assessore alla Legalità. Quando il sindaco Marino mi ha chiamato, sei mesi fa, ho accettato per puro spirito di servizio. Ho rinunciato a metà del mio stipendio per curare l’infezione che stava uccidendo il Campidoglio. Perciò lascia l’amaro in bocca vedere che a Roma la politica si è venduta per un piatto di lenticche: gente che per mille euro al mese ha tradito la fiducia di migliaia di cittadini».
Per anni è stato magistrato, ora fa l’amministratore: come possono le istituzioni arrivare prima dei giudici?
«Bella domanda. Da amministratore hai una visione privilegiata, puoi vedere le carte, accorgerti del malaffare prima che diventi sistema, però in concreto non hai gli stessi strumenti della magistratura, non puoi fare intercettazioni, pedinamenti, verifiche patrimoniali, emettere misure cautelari. Ecco perché ora il Parlamento deve mettersi una mano sulla coscienza e dotare la pubblica amministrazione dei poteri necessari per combattere la corruzione che è il carburante delle bande criminali».
Ce lo vede Marino nei panni dell’investigatore che pedina o ammanetta qualcuno?
«Ai tempi di Tangentopoli Pier Camillo Davigo mi raccontò un aneddoto: “Se io invito a casa un amico e vedo che si porta via l’argenteria, io non aspetto la sentenza passata in giudicato per non invitarlo più a pranzo”. Ecco, con il sistema normativo che abbiamo in Italia, sei io mi accorgo che un determinato dirigente non fa bene il suo lavoro o è corrotto, non posso fare nulla, lo devo tenere, è arduo persino trasferirlo».
Bisogna aspettare la sentenza definitiva.
«Sì, lo devi continuare a invitare a pranzo. L’unica cosa che si può fare è farlo mangiare in un’altra stanza, ma la tavola gliela devi sempre apparecchiare con l’argenteria. Prenda tutti i burocrati indagati per Mafia Capitale: sono ancora dirigenti del Comune, anche se non nello stesso posto dove avrebbero commesso gli illeciti».
Anche a Ostia, dove lei è commissario dopo le dimissioni del presidente indagato, voleva trasferire il direttore.
«Avevo forti sospetti sul suo operato: troppi lavori affidati in somma urgenza, troppi atti scadenti. È stato trasferito, ma lui ha fatto ricorso al Tar ed è stato reintegrato. In Italia è la normalità. Ma così non si può andare avanti. E lo dico da giudice».
Cosa bisognerebbe fare?
«Modificare la legge, dare alla pubblica amministrazione la possibilità di non invitare più a pranzo i dipendenti di cui non si fidano, che hanno commesso irregolarità o sono incapaci. E se finisce in carcere, non deve ricevere lo stipendio».
Prima ancora che la sentenza sia passata in giudicato?
«Nelle more, si potrebbe evitare di retribuirlo. Quando c’è fondato motivo di ritenere che un dipendente è infedele, siccome non posso cacciarlo, almeno che perda il diritto a essere pagato dall’amministrazione che ha tradito».
Di cosa ha bisogno Roma, adesso, per guarire?
«Di un anno zero. Non ha idea di quante carte false, truccate, aggiustate ho trovato: e non solo della giunta Alemanno».
Per questo gira con la pistola?
«Me la sono portata un paio di volte, a Ostia, ma non giro per il municipio armato. È una precauzione. Ma non mi chieda perché. Quello lo tengo per me».