sabato 6 giugno 2015

Repubblica 6.6.15
Perché la società postumana mette a rischio le nostre libertà
Tecnoscienze, ricerca biomedica, lavoro affidato ai soli robot
di Stefano Rodotà


SIAMO già prigionieri di un futuro del quale, come ha scritto l’-Economist, dobbiamo “preoccuparci con saggezza”. Ma essere saggi è difficile quando ci viene promessa l’immortalità o viene minacciata la subordinazione dell’intero genere umano a macchine superintelligenti. Previsioni lontane, a giudizio di molti irrealizzabili, che tuttavia obbligano a contemplare un orizzonte nel quale il postumano, parola che descrive una nuova condizione, trova manifestazioni assai più vicine, che invadono il nostro presente e ci consegnano alle dinamiche della tecnoscienza. Fino a che punto, però, l’affidarsi fiducioso alla tecnoscienza può diventare delega? E la delega può degenerare in deresponsabilizzazione? Proviamo a interrogare i fatti. Dalla Cina arriva la notizia di una fabbrica interamente affidata ai robot, avanguardia di una trasformazione radicale dove la parola “lavoro” rischia di scomparire insieme alla realtà che ha sempre designato.
Ma, nel momento in cui si disegna un mondo in cui il lavoro umano comincia a essere considerato residuale, si avvia un mutamento qualitativo di cui ci si dovrebbe preoccupare fin da ora con saggezza. La riflessione sulla condizione postumana dovrebbe cominciare proprio da qui, dalla situazione materiale delle persone, senza saltare questo passaggio, come talvolta accade nella riflessione dei postumanisti, proiettandosi volontaristicamente in un futuro già pacificato. Non è una via semplice quella di un futuro segnato non da un generico appello alla tecnoscienza, ma più precisamente da un convergere di biologia, elettronica, intelligenza artificiale, robotica, nanotecnologie, neuroscienze, che ha fatto parlare del corpo come di un nuovo oggetto, una “nano-bio-info-neuro machine”. Ma questo allontanarsi dalla dimensione umana non è presentato come una sorta di congedo definitivo, ma piuttosto come “movimento intellettuale e culturale che afferma la possibilità e la desiderabilità di migliorare in maniera sostanziale la condizione umana, usando la tecnologia per eliminare l’invecchiamento ed esaltare al massimo le capacità intellettuali, fisiche e psicologiche”. Postumano è inteso come “meglio dell’umano”, sottolineando come la tecnoscienza consenta di uscire da una condizione segnata da caducità, finitezza, fragilità. Si mette così in evidenza una emancipazione, ma si segnala pure una insoddisfazione per l’umano nel tempo cambiato, che dovrebbe portare alla liberazione dal “pregiudizio” umanistico. L’uomo non più “misura di tutte le cose”, ma posto sullo stesso piano di tutti gli altri esseri viventi, attribuendo rilevanza costitutiva anche al suo rapporto con il mondo degli oggetti.
Ma la prospettiva postumanista incarna due dinamiche in conflitto, tra appropriazione e espropriazione: il diritto incondizionato di appropriarsi e di utilizzare tutte le opportunità offerte dalla tecnoscienza; l’espropriazione da parte del mondo delle macchine, della robotica, dell’intelligenza artificiale. Nasce qui la questione ricordata all’inizio, quasi una sfida definitiva. Non solo l’assunzione di sembianze di macchina da parte dell’umano, con i robot umanoidi. Ma la creazione di sistemi artificiali in grado di imparare, dotati di una forma di intelligenza propria che li metterebbe in grado di sopraffare l’intelligenza umana. E si è detto che la creazione della prima macchina superintelligente sarebbe l’ultima invenzione dell’uomo, a quel punto privato d’ogni libertà, che continuerebbe a popolare il mondo però destituito della sua propria umanità.
Abbandonando queste speculazioni sul futuro, il ritorno alle realtà presente indica una destituzione di umanità già prodotta dal ricorso alle “armi letali autonome”, dove si appanna la responsabilità della decisione, dove il fatto che un drone, impiegato per uccidere un capo terrorista, provochi una strage di civili, viene degradato a “effetto collaterale”. Preoccupandosi con saggezza, si suggerisce almeno una moratoria del ricorso a queste armi. Riflettendo più a fondo, si presenta come ineludibile guida quella riserva di umanità affidata a parole come dignità, eguaglianza, libertà, solidarietà, dalle quali lo stesso pensiero postumanista non riesce a liberarsi.