Repubblica 3.6.15
Perché l’Italicum può trasformarsi in una roulette russa
Il sistema elettorale si sta solidificando in tre poli non in due e la competizione bipolare appartiene a un passato che non ritorna
di Piero Ignazi
LE ELEZIONI regionali prefigurano un ritorno al passato? Il calo del Pd e la crescita del centro-destra nel suo complesso hanno riportato in parità i due schieramenti che si sono contrapposti per vent’anni. In realtà, un tempo si parlava dello scontro tra un centrosinistra e un centro-destra; ora il centrosinistra non esiste più. È rimasto in gioco solo il Pd, che ha coronato la sua vocazione maggioritaria vampirizzando ogni possibile alleato e snobbando ogni ipotesi coalizionale. In splendida solitudine, i democratici si preparano alla sfida finale per il premio di maggioranza alle prossime elezioni politiche. L’Italicum, ritagliato su misura del “partito della Nazione” del 41% di un anno fa, rischia di diventare una roulette russa. Perché il sistema elettorale si sta solidificando in tre poli, non in due. La competizione bipolare appartiene ad un passato che non ritorna. Per tre ragioni.
La prima: finalmente si è capito che il M5S non era una meteora e che il 21% delle europee dell’anno scorso costituiva una conferma importantissima del successo iperbolico delle politiche, un risultato “ultraterreno” come brillantemente l’ha definito Piergiorgio Corbetta, dell’Istituto Cattaneo. Il M5S, arrivando oggi primo in tre regioni, secondo in due, si dimostra una forza politica consolidata e robusta. E questo nonostante il — o grazie al — passo indietro di Beppe Grillo. Il radicamento elettorale dei 5Stelle impedisce una competizione bipolare come l’abbiamo conosciuta. Perché sono loro i kingmaker nel caso in cui Pd e centro-destra in qualche forma ricomposto arrivassero al ballottaggio. Ha allora ragione il governatore della Puglia, Michele Emiliano, e altri con lui, a cercare un rapporto con il M5S in vista di scenari futuri? Esiste poi un’altra eventualità che vede i grillini protagonisti, e cioè che il ballottaggio sia tra Renzi e Di Maio. Cosa farà la destra a quel punto? In odio alla sinistra voterà in massa per il candidato grillino, come il caso Pizzarotti a Parma insegna? Oppure Renzi per scongiurare resusciterà — è il caso di dirlo — il Nazareno? Il gioco a tre ha molte varianti.
Il secondo fattore che impedisce un ritorno al passato è dato dalla nuova configurazione del centro-sinistra. Come detto, esiste solo il Pd, per ora. Che si riconosce, ed è riconosciuto, in Matteo Renzi. Il partito democratico dispone per la prima volta di una leadership di grande impatto mediatico. In queste elezioni, pur essendosi speso, Renzi non era direttamente in campo. Quando si voterà per il governo tutta l’attenzione sarà catalizzata su lui. Il leader democratico saprà farvi fronte dimostrando quale macchina da voti sia. Per questo il Pd è molto più competitivo rispetto al passato. Ad una condizione, però. Che il segretario smetta i panni gladiatori e strafottenti nei confronti dell’opposizione interna (ma si ricorda quello che diceva della classe dirigente del suo partito quando era all’opposizione?). Senza una opera di ricucitura interna — e di recupero dei fuoriusciti — le fratture diventano una zavorra insostenibile. E la tentazione di rimanere solo con i fedeli e i puri è sintomo di quella malattia infantile di cui parlava un grande rivoluzionario di inizio Novecento. Inoltre, senza una attenzione all’organizzazione periferica il Pd rischia di isterilirsi, di diventare un terreno popolato da notabili locali dotati di risorse persopochi nali tali da potersi autonomizzare dal centro. Un Pd più inclusivo e più attento al territorio garantisce, pur in solitudine, una maggiore competitività rispetto al passato.
Terza differenza rispetto agli assetti di un tempo, l’incerta configurazione della destra. Dal 1994 in poi tutto quello schieramento ruotava attorno al Re Sole Berlusconi. Il Cavaliere copriva con la sua immagine suadente e rassicurante l’animus aggressivo ed estremista dell’elettorato ex-democristiano e variamente qualunquista. Solo grazie ad un abile gioco di specchi e di manipolazione mediatica l’elettorato forza-leghista veniva scambiato per moderato. Ma non lo era per nulla. Anzi, il disprezzo per le regole del gioco e lo stato di diritto, le spallate alle istituzioni, l’aggressività becera contro gli avversari politici — basti pensare alle commissioni parlamentari di inchiesta anti-Prodi, Telekom-Serbia e Mitrokin — eccitavano gli animi allo scontro e alla delegittimazione. Oggi quella destra si trova pienamente rappresentata da Matteo Salvini, dalle cannonate contro gli immigrati e dalla ruspe contro gli insediamenti dei rom. Ma Salvini, non può essere un leader vincente perché se trionfa in Veneto, nel sud non prende nemmeno un voto. Rimarrebbe un leader dimezzato e, alla fine, perdente. La destra, quindi, è in cerca d’autore, sia per un programma, sia per una leadership unificante. Un tempo Berlusconi copriva tutto con il suo smagliante sorriso, ora ci sono solo le felpe salviniane. Troppo poco per contrastare un Pd ricalibrato. E persino un post-grillismo. Per cui, rischia di rimanere fuori dal ballottaggio. Insomma, con la tripartizione dello spazio politico l’Italicum è diventato una roulette russa.