mercoledì 3 giugno 2015

Corriere 3.6.15
L’avvertimento dei ribelli dem
A sinistra molti sono convinti che il premier sia in realtà pronto ad aprire alla minoranza su nuovo Senato, scuola e persino sull’Italicum
Gotor: Le Regionali sono andate in modo imprevedibilmente negativo per Renzi
D’Attorre: Il dissenso che si èp manifestato è molto più ampio di quello visto in Parlamento
Fassina: Se Renzi continua a menare fendenti sulla sinistra, il Pd con l’Italicum rischia
di Monica Guerzoni


ROMA Basta con le «prove muscolari» dell’uomo solo al comando, che «pretende disciplina» e trasforma gli organismi del Pd in un «votificio». Così ragiona la minoranza dopo la «non sconfitta» delle Regionali e si prepara ad alzare la voce lunedì, quando Renzi in direzione analizzerà i risultati del voto.
Bersani, Speranza e gli altri leader «barricaderi» non condividono la lettura «trionfalistica» di un Pd che vince per 5 a 2 e, dove perde, lo fa per colpa della «sinistra masochista». L’analisi della minoranza è assai più impietosa. Se i «dem» hanno perso due milioni di elettori dal 2014 è perché la base è delusa dalle scelte del governo, che paga pegno su scuola e jobs act. La prima conseguenza, stando sempre ai ragionamenti dell’ala sinistra, è che il partito della nazione è morto ancor prima di nascere. La seconda è che, d’ora in avanti, se vuole restare a Palazzo Chigi il premier-segretario dovrà «scendere a patti» con la minoranza dura e pura. Quella che non ha votato la fiducia sulla legge elettorale e che, al Senato, dispone di una ventina di voti in grado di far ballare la rumba al governo.
D’Attorre la vede così: «Il dissenso è molto più ampio di quello che si manifesta in Parlamento. Noi siamo un pallido riflesso dei veri gufi, che sono gli elettori... Renzi raddrizzi la barca». Toni che in direzione potrebbero alzarsi ancora di qualche decibel, visto che D’Attorre si augura lunedì di assistere a una analisi del voto «meno superficiale e autoconsolatoria». Per i dissidenti il punto politico è che la minoranza, come tanti elettori che si sono rifugiati nell’astensione, non è più disposta a «fare politiche non di sinistra con i voti della destra». E quindi Renzi deve cambiare registro, se vuole che il Pd non si spacchi. «La scissione l’hanno fatta gli elettori», ammonisce Fassina. E conferma di essere pronto all’addio se l’esecutivo non cambierà linea su scuola e legge di stabilità. «Non si tratta di fare processi di piazza, né di chiedere la testa di qualcuno — spiega il senatore Federico Fornaro — Ma se Renzi continua a menare fendenti sulle architravi della sinistra, come scuola e lavoro, il Pd con l’Italicum rischia. L’uomo solo al comando non funziona». E Davide Zoggia annota: «A forza di procedere a colpi di maggioranza il Pd è molto ammaccato. Se siamo tornati al 25% Renzi non può prendersela con Pastorino, né con noi che abbiamo chiesto i voti per la ditta».
Bersani non vuole rompere, Speranza e Cuperlo nemmeno. «Ma la direzione di marcia deve cambiare». E guai a minacciare sanzioni o cacciate, perché i richiami alla disciplina — avvertono i barricaderi — servono solo a inasprire gli animi. In realtà a sinistra i più si sono convinti che Renzi, essendo «ben più intelligente di molti renziani», abbia compreso i rischi che sta correndo e sia pronto ad aprire alla minoranza. Come? Rivisitando la riforma costituzionale nella chiave del Senato di garanzia invocato da Bersani, accettando altri ritocchi al ddl sulla scuola e persino modificando l’Italicum. «Sarebbe un segnale politico...», conferma Nico Stumpo.
La premessa di Gotor è che «le Regionali sono andate in modo imprevedibilmente negativo per Renzi». Il senatore non ritiene che la suggestione di un ribaltone a Palazzo Chigi possa concretizzarsi «dall’interno», visti i numeri esigui della minoranza. «Ma con un Pd così debole — avverte Gotor — il governo rischia di essere ribaltato dall’esterno, dalla crisi o dall’Europa». Se è vero che la minoranza non complotta contro Renzi e lavora per costruire l’alternativa e riprendersi il Nazareno, di certo non è disposta a fare sconti al premier, né a subire «anatemi». Stumpo ha letto con fastidio gli avvertimenti attribuiti a Renzi, del genere «chi non vota secondo la linea del Pd si mette fuori da solo». Per il deputato che guidava la macchina del Pd ai tempi di Bersani, «se Renzi verrà a dirci queste cose andremo a sbattere». Il segretario dovrà fare autocritica, ammettere che qualcosa non quadra: «Il riformismo dall’alto non produce effetti e le riforme si fanno dal basso, non a dispetto dei santi». Insomma, se vuole portarle a casa «tolga il piede dall’acceleratore», accetti il confronto e «rinunci a scrivere regole punitive contro i dirigenti del Pd». Al congresso del 2017 mancano due anni, ma la battaglia è iniziata. Speranza è in campo e studia da leader. A meno che, come ama dire l’ ex capogruppo, «non arrivi Maradona». E in questo scenario i nomi che si fanno sono quelli di Enrico Letta, Nicola Zingaretti ed Enrico Rossi.