venerdì 26 giugno 2015

Repubblica 26.6.15
“Ora il peggio è alle spalle” il premier tratta con la sinistra i ritocchi al bicameralismo
Soddisfazione per la tenuta del patto interno al Pd
Contatti con i dissidenti sulla nomina dei nuovi senatori: rispunta l’elettività in un listino a parte
di Francesco Bei


ROMA. Per Matteo Renzi, nonostante i tre dissidenti del Pd sulla fiducia, la giornata di ieri rappresenta il primo raggio di sole dopo giorni bui. Settimane difficili, a partire dal cattivo risultato delle elezioni fino alla decapitazione del pd romano. Il sospiro di sollievo, a cui si lascia andare in privato, riguarda l’oggi e il futuro. «Il peggio è alle nostre spalle – confida ai suoi – gli insegnanti capiranno. Da qui alla fine dell’anno spenderemo oltre un miliardo di euro sulla scuola, i soldi ci sono».
Ma anche la situazione interna ai gruppi parlamentari, dopo l’uscita di Civati e Fassina, appare più tranquilla. Certo, la mobilitazione del mondo scolastico ha toccato nervi sensibili e i musi lunghi di molti senatori della minoranza ieri testimoniavano quanto sia stato amaro il boccone ingoiato con la fiducia. «L’accordo interno ha tenuto – osserva tuttavia il premier – e adesso possiamo rimettere i pista la riforma costituzionale per approvarla prima dell’estate». Un atteggiamento quasi spavaldo, ben diverso da quella sera di dieci giorni fa quando il capo del governo, tra il depresso e l’arrabbiato, meditava di rimettere in un cassetto la riforma della scuola. «Se ci fossimo fermati – confida con il senno di poi il numero due renziano a palazzo Madama, Giorgio Tonini – sarebbe stato un tragico errore, l’inizio della fine. Ci avrebbero fatti a pezzi su tutto. Il nostro destino è andare avanti».
I numeri incoraggianti sull’aumento degli ordinativi dell’industria, sulle assunzioni, sulla ripresa dei consumi interni, fanno ben sperare il premier per i mesi a venire. E rafforzano l’idea di proseguire con l’orizzonte puntato sulla fine naturale della legislatura. Portando a casa il prima possibile la riforma costituzionale e tutto il resto che attende in coda, dalla Rai alle unioni civili. Con l’occhio puntato sulle amministrative della prossima primavera, quando andranno al voto Milano, Napoli, Torino, Genova. La testa è già lì. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, reduce dalla sconfitta della “sua” Paita alle regionali in Liguria, ammette che il governo e il Pd si giocheranno il tutto per tutto. «Tra il risultato elettorale e il mondo della scuola mobilitato contro di noi - spiega uscendo da palazzo Madama da una stradina laterale - abbiamo toccato il più più basso. Adesso ci dobbiamo mettere sotto per dare risposte al paese e, soprattutto, preparare bene le amministrative. Arrivarci impreparati, all’ultimo mese, è pericoloso». Perdere nelle grandi città, tutte amministrate dal centrosinistra, sarebbe per il governo Renzi il segnale del fine corsa. Per questo, a costo di smentire uno dei dogmi del Pd, al Nazareno si sta pensando di privilegiare i candidati politicamente giusti senza ricorrere alle primarie. Pinotti prende un respiro e annuisce: «Le primarie si fanno se c’è un percorso politico, non alla “spera- in-dio” e chi vuole si candida. Specie in realtà molto...complicate come Napoli ».
Dunque ci saranno candidati scelti dalla segreteria, dopo una consultazione con le componenti interne. Anche perché, dopo la rottura con Sel, è ormai impossibile la riproposizione di quella stagione di centrosinistra che portò alla vittoria dei sindaci arancioni a Cagliari, Genova, Milano e Napoli.
L’altra partita fondamentale, che s’intreccia con il rapporto che Renzi sta provando a ricucire con la sinistra interna, è quella che ha come posta la riforma della Costituzione. Su questo fronte è già ricominciato, in via riservata, un dialogo che ha come protagonisti il ministro Boschi e alcuni esponenti della minoranza dem come i senatori Vannino Chiti e Claudio Martini. Il punto su cui il governo è pronto a cedere è quello dell’elettività dei futuri membri del Senato. Che saranno sempre consiglieri regionali, scelti però su un listino a parte che gli elettori si troveranno sulla scheda elettorale. A differenza della buona scuola, sulla riforma costituzionale Renzi non può forzare la mano alla sinistra interna con la fiducia. E quei 23 senatori se li può conquistare solo con la politica e il dialogo.