Corriere 26.6.15
Riforma della Rai e Todini al vertice. La tregua del premier con Berlusconi
Il piano per cambiare la Gasparri con FI. E cercare un aiuto sul nuovo Senato
di Maria Teresa Meli
ROMA Non sarà un patto del Nazareno con tutti crismi, non ci saranno più incontri, strette di mano, fogli protocollati e firmati, e ognuno (Matteo Renzi e Silvio Berlusconi) veleggerà verso il suo destino senza concedere troppo all’altro.
Ma una qualche forma di collaborazione, o, quanto meno, di tregua più che disarmata, tra l’ex Cavaliere e il presidente del Consiglio c’è, con buona pace delle smentite che il leader di Forza Italia ha fatto, a dire il vero, senza troppo vigore, o di quelle virulente del capogruppo dei deputati azzurri Renato Brunetta. O, almeno l’hanno capita così i collaboratori del premier, quando hanno sentito Renzi ripetere per l’ennesima volta, con aria pacata e altrettanto ferma, che «la riforma della Rai si farà».
Del resto, a sponsorizzare dall’altra parte della barricata un atteggiamento meno ostile nei confronti di Palazzo Chigi sono stati, non a caso, Fedele Confalonieri e Gianni Letta. E basta pronunciare questi due nomi per essere portati a pensare che in questa intesa una parte importante l’abbia la tv. E infatti così è. Raccontano al Nazareno che la sicumera con cui Renzi rassicura i suoi sul fatto che le prossime nomine dei vertici della Rai non verranno fatte con la legge Gasparri derivi proprio da là. Cioè dall’accordo che si sta costruendo (faticosamente) con Berlusconi per far passare in Parlamento la nuova normativa sulla tv di Stato.
Come in ogni intesa politica, ognuno deve avere il suo. In questo caso il leader di FI avrebbe il presidente. Anzi, la presidente. Ossia Luisa Todini, che attualmente ricopre un altro incarico importante. È alla presidenza delle Poste italiane. Sì, è una delle nomine femminili che il premier Renzi volle fare per dimostrare che l’Italia non può essere declinata tutta al maschile. Ma tutti sanno che Todini ha lasciato il cuore alla Rai. E che con Berlusconi ha mantenuto ottimi rapporti (entrò in Forza Italia nel 1994, proprio alle origini dell’avventura del movimento azzurro). Per questa ragione nei conversari privati tra gli sherpa che cercano di trovare l’accordo per sbloccare la «questione Rai» è stato fatto il suo nome. E sia da parte del premier che da parte dell’ex Cavaliere non c’è stata nessuna obiezione.
In questo contesto, ovviamente, Luigi Gubitosi lascerebbe l’attuale incarico per spostarsi altrove. Alle Ferrovie, dicono i più. Alle Poste, suggerisce qualcun altro. Comunque non spetterebbe a lui la poltronissima di Viale Mazzini. Quella dell’amministratore delegato al quale Renzi vorrebbe affidare tutti i poteri effettivi, quelli che finora nessun direttore generale ha mai avuto nell’azienda della tv pubblica. Il nome più gettonato per quel posto, al momento, è quello di Vincenzo Novari, genovese, classe ‘59, attuale amministratore delegato di 3 Italia, amico di Franco Bernabè e Renato Soru, ha parlato dal palco della Leopolda ed è in buoni rapporti con uno dei più cari amici di Renzi, Marco Carrai.
Certo, viste le turbolenze parlamentari che sono all’ordine del giorno, è ancora presto per dire se questo patto reggerà. Ma il presidente del Consiglio continua a ripetere ai parlamentari a lui più vicini che «la riforma della Rai si farà». Segno evidente che avrà avuto un qualche «affidavit», altrimenti non sarebbe così tranquillo su un argomento di tale delicatezza. E non spiegherebbe ai fedelissimi: «Non ci possiamo permettere di rinnovare i vertici della televisione di Stato con una legge come la Gasparri».
Quello che è più difficile capire è se questa intesa sulla Rai che si sta faticosamente costruendo (all’insaputa di molti, sia nel centrodestra che nel Pd) possa essere foriera di altre novità. Certamente non della modifica della legge elettorale, di cui pure si parla tanto in questi ultimi giorni. Su questo punto il presidente del Consiglio è netto: «Non cambio l’Italicum». Lo dice con grande sicurezza.
E allora è sulla riforma costituzionale che potrebbe giungere «un aiutino dal centrodestra» (lo definiscono cosi alcuni autorevoli esponenti del Partito democratico). Senza però rivelare di che tipo di sostegno si possa trattare. Cioè se di un «via libera ufficiale» (cosa assai difficile, visto che Berlusconi è partito all’inseguimento di Matteo Salvini) o, piuttosto, di un aiuto di un gruppo di forzisti che vengono incontro al premier non seguendo la linea di FI; disobbedendo, ma con l’autorizzazione de l «capo» in tasca.