venerdì 26 giugno 2015

La Stampa 26.6.15
Renzi: “Bene così, ora avanti con la riforma del Senato”
I numeri non preoccupano. Entro luglio pure la Rai
di Carlo Bertini


Bene, questa è andata, ora pensiamo alla conferenza sulla scuola di luglio», commenta il premier da Bruxelles con i suoi uomini in Senato. Guardando già avanti all’appuntamento col mondo della scuola in cui intende rilanciare sulle deleghe che contiene la riforma, prima tra tutte quella sulla materna fino a sei anni, che va riempita di contenuti magari dopo un ampio confronto.
E non che il numero risicato di 159 sì riesca a smorzare la sua soddisfazione. «Siamo nella media - gli spiegano i tecnici del pallottoliere - voto più, voto meno, su un provvedimento così controverso è normale, ci avremmo messo la firma». Il range è presto detto: Renzi ottenne 169 voti sulle dichiarazioni programmatiche, 165 sulla delega lavoro, ma anche 155 sulla fiducia al decreto delle banche popolari del marzo scorso; e un anno fa anche il decreto Irpef passò la fiducia con 159 sì. Stavolta tre assenze Ncd, di cui due giustificate e una no, quella di Giovanardi, altri assenti del gruppo delle autonomie. Ma tra i 112 senatori Pd poche diserzioni: tranne Casson in congedo, solo tre non partecipano al voto, Tocci, Mineo e Ruta. Gli altri allineati, compresa la ventina vicini a Bersani che rivendicano le migliorie ottenute sul fondo di perequazione per le scuole disagiate. Ma neanche intervengono in aula a rappresentare il travaglio di un sì sofferto: Gotor si becca aspri sfottò dai leghisti per aver consegnato il suo intervento l’altra notte senza nemmeno prender la parola.
Renzi comunque tira il fiato per un primo giro di boa che fino a due settimane fa non era affatto scontato. Ma non per i numeri ballerini, bensì perché «Matteo è stato davvero lì lì per rinviare tutto», racconta chi ha vissuto gomito a gomito col premier tutti i passaggi di questa battaglia. E non è un caso se il premier retwitta i cinguetii dei senatori Pd che ricordano come sulla scuola il governo abbia investito 3 miliardi di euro. «Il suo annuncio da Vespa non era solo la minaccia alle minoranze di caricarsi la responsabilità di non far assumere i precari, ma frutto di una rabbia vera», racconta chi ha raccolto in quelle ore lo sfogo del premier. Che si esprimeva più o meno in questi termini: «Ma come, per la prima volta dal dopoguerra ad oggi uno mette soldi, tanti soldi, sulla scuola e tutti gli si rivoltano contro?». Rabbia per veder disillusa la speranza che dopo le prime barricate alla fine del percorso molte resistenze si sarebbero placate.
E invece così non è stato e i suoi all’indomani dell’annuncio choc hanno faticato per convincerlo a chiudere la partita. E dunque dalla rabbia al sorriso, guardando avanti. Perché ora la sfida è decidere se e soprattutto come procedere con l’agenda: riforma Rai e riforma costituzionale. Che dovrebbe essere votata prima della pausa estiva, cercando però un accordo politico con minoranza Pd e opposizioni sul nodo dell’elettività. La soluzione indolore ci sarebbe, «si può lavorare sulla legge elettorale del futuro Senato con meccanismi che consentano agli elettori l’individuazione dei consiglieri regionali che diventano senatori», spiegano i suoi, che però attendono istruzioni. «Sulla riforma del Senato gli consiglierei di rinviare tutto a settembre», dice sibillino sulle scale di Palazzo Madama Ugo Sposetti. «Sulla scuola se non si andava avanti non si assumevano i precari a settembre, ma se non si fa ora la riforma del Senato non succede mica niente...».