Repubblica 26.6.15
Le spallate eversive della Lega lepenista
Posizioni estreme anche sulla tortura il Carroccio imita le destre europee
di Stefano Folli
NEL giro di poche ore la Lega ha espresso due posizioni radicali e si potrebbe dire quasi eversive. Prima il presidente del Veneto, Zaia, personaggio di solito alieno dai toni estremisti, ha invitato i prefetti della Repubblica a “ribellarsi” alle direttive romane circa l’accoglienza degli immigrati.
Dopo di lui il leader del Carroccio, Salvini, ha dato man forte a un sindacato di polizia, il Sap, che si batte contro l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura. Di fatto si oppone a quella che tra non molto sarà una legge dello Stato, essendo già stata approvata dal Senato.
Con la minaccia sottintesa di non rispettare la nuova norma. I toni di Salvini sono aspri contro le istituzioni, compreso il capo della Polizia, e soprattutto contro la Corte europea dei Diritti Umani: una delle istituzioni simboliche dell’Europa immaginata come centro di civiltà, antidoto contro qualsiasi ritorno al passato.
È la prima volta che un politico di primo piano si espone come ieri ha fatto il leader della Lega. E la coincidenza dei due interventi, Zaia e Salvini, acquista un sapore inquietante. Ricorda un po’ gli exploit del colonnello Tejero, l’ufficiale nostalgico di Franco che fece irruzione nel Parlamento spagnolo sparando in aria.
Fino a ieri le posizioni della Lega erano dure, ma all’interno di un quadro costituzionale. Anzi, Salvini aveva superato le suggestioni secessioniste di Bossi e aveva inaugurato il filone della Lega nazionale.
Adesso però la deriva verso destra sta raggiungendo un livello sconosciuto nella dialettica politica italiana, almeno negli ultimi decenni. In fondo lo stesso Movimento Sociale di Almirante era consapevole del pericolo e perciò attento a non confondere i destini del partito con quelli dei movimenti oltranzisti.
Oggi lo scenario è molto diverso e la Lega si colloca ormai nel solco delle nuove destre europee. A parte Marine Le Pen, c’è stato il recente risultato del partito di estrema destra in Danimarca. Un incoraggiamento in più per Salvini che sente di avere il vento nelle vele e non vuole perdere il centro del palcoscenico.
L’INCONTRO dell’altro giorno con Berlusconi è stato poco più di una cena estiva, ma è servito a definire la supremazia “culturale” del neo-leghismo sul vecchio impianto di Forza Italia.
I temi sono quelli di Salvini, a cominciare dalla flat tax per continuare con la politica dell’immigrazione e il resto. La filosofia di Pontida è distruttiva per l’ultimo Berlusconi, segna il suo definitivo tramonto, eppure l’ex presidente del Consiglio sembra non solo rassegnato, ma addirittura affascinato dal dinamismo dell’interlocutore, in quanto promessa di successo.
IL Partito Popolare europeo, a lungo vanto e bandiera berlusconiani, si dissolve sullo sfondo. A sua volta Salvini ritiene che la leadership si conquista sul campo, giorno dopo giorno, e che nulla è definito per sempre. Perciò inasprisce i toni e gli argomenti, scava fossati, si distingue dagli altri: in particolare da competitori come i Cinque Stelle, dove pure Grillo tende spesso a scivolare verso il populismo di destra.
Il risultato è che due figure come Zaia e Maroni (un ex ministro dell’Interno) parlano oggi un linguaggio che fino a poco tempo fa non apparteneva loro.
E il neoeletto Toti in Liguria appare del tutto agganciato al carro leghista. Il detonatore è l’immigrazione, certo.
È il terreno dove la Lega conta di raccogliere abbastanza voti da travolgere gli equilibri politici nazionali, partendo dal controllo del Nord.
Lo si è visto ieri nella riunione di Palazzo Chigi. Renzi è andato in Europa senza avere alle spalle un accordo che lo mettesse in grado di negoziare con i partner da posizioni credibili.
L’egemonia leghista sul centrodestra significa anche questo: il venir meno di qualsiasi forma di corresponsabilità fra maggioranza e opposizione su un tema cruciale come la gestione degli immigrati.