giovedì 25 giugno 2015

Repubblica 25.6.15
È iniziata la rivoluzione per diventare tutti uguali
Consapevolezza e uso dei social, il più afropolitan degli autori spiega cosa succede alla periferia del mondo
di Teju Cole


Il testo che in parte anticipiamo sarà letto da Teju Cole domenica a Capri (Piazzetta Tragara, ore 19) nel corso della decima edizione de Le Conversazioni, festival internazionale diretto da Antonio Monda e Davide Azzolini che si svolge a New York, Capri e a Roma. Tema: “Rivoluzione”

Cosa pensare di chi sta alla periferia dell’impero, apparentemente ai margini del suo raggio di interesse, e all’improvviso diventa visibile? Cosa pensare di persone, di cui non abbiamo mai sentito parlare, che all’improvviso dicono «trattateci da pari»? La periferia è implacabilmente vicina. Una catena di eventi cruciali della storia contemporanea è cominciata quando il fruttivendolo tunisino Muhammad Bouazizi si è dato fuoco per protesta. Le piccole sommosse iniziate nella sua città natale si sono diffuse nel resto della Tunisia e in altri paesi.
Altri cittadini frustrati si sono dati fuoco. La polizia ha sparato sulla folla. Anni di malcontento represso nei confronti delle dittature sono sfociati in un nuovo coraggio, in nuove forme d’espressione di cui Internet ha rappresentato uno strumento organizzativo fondamentale. Meno di due settimane dopo la morte di Bouazizi per ustioni, il dittatore tunisino Ben Ali è fuggito in Arabia Saudita. Un mese dopo, in Egitto è stato deposto Mubarak. In ottobre, è stato catturato e ucciso Gheddafi. Le conseguenze di queste rivoluzioni, come tutti sanno, sono le più diverse. Ma è chiaro che a un certo punto, negli ultimi cinque anni, tantissime persone da sempre invisibili sono diventate visibili. E la questione della visibilità è strettamente associata a quella dell’eguaglianza.
Di solito si parla di eguaglianza come se ci fosse un consenso unanime sul significato del termine. Ma non è così, si tratta di un concetto complicato. Una delle principali complicazioni è che tutti si credono egualitari, in un certo senso, ma con questa parola intendiamo cose diverse. La gente vuole eguaglianza di diritti, di condizioni di vita, di salario, oppure di reddito, di trattamento fiscale, di rappresentanza politica. E non solo queste eguaglianze sono spesso in contrapposizione diretta fra loro, ma alcune sono di per sé difficili da analizzare.
Amartya Sen ha sottolineato che la diversità, «la sostanziale eterogeneità degli esseri umani », è una condizione preliminare all’idea di comunità. Alla luce di questo, vediamo che la celebre frase «tutti gli uomini sono creati uguali» fa passare in secondo piano il fatto che esiste una forte diseguaglianza pregressa che i nostri patti sociali dovrebbero contrastare. Come spiega Sen, «una considerazione uguale per tutti può richiedere un trattamento molto diseguale a favore di coloro i quali si trovano in una posizione di svantaggio». Per raggiungere certe forme di eguaglianza, è necessario trascurarne altre, meno centrali. Per esempio, a volte si deve abbandonare una visione rigida del concetto di “eguali opportunità” se si vuole ottenere una complessiva eguaglianza di libertà. Il filosofo J.R. Lucas ha espresso un pensiero simile nel suo saggio Against Equality : «Possiamo garantire l’eguaglianza sotto certi aspetti tra membri di certe classi, per certi scopi e in certe condizioni: ma mai, necessariamente mai, è possibile garantire l’eguaglianza sotto tutti gli aspetti tra tutti gli esseri umani per ogni scopo e in ogni condizione. Il sostenitore dell’eguaglianza assoluta è condannato a una vita non solo di recriminazioni e invidia perenne, ma di inevitabili e continue delusioni ».
Penso che la distinzione binaria di Lucas sia semplicistica: accettare le cose come stanno e dimostrare una sciocca fede nell’impossibile non sono le uniche scelte a nostra disposizione. Siamo dotati di immaginazione e non dobbiamo per forza fermarci a «sotto certi aspetti tra membri di certe classi». Non è ingenuo né illogico credere che i nostri patti sociali possano includere forme di giustizia distributiva.
La connettività è arrivata a ricoprire un ruolo fondamentale in questo campo. I dispositivi portatili ci permettono di aggiornarci su ogni forma di intrattenimento, ma anche sul nostro conto in banca, sulle cartelle cliniche, sugli amici, sulle nostre famiglie. I social media hanno avuto il merito innegabile di aiutare le persone a organizzarsi per cause progressiste: abbiamo visto quanto possono essere potenti in Iran, in Turchia, in Nigeria, in tutta l’Europa, in tutto il mondo. «Ai dittatori arabi non piace il venerdì», si dice - perché tendenzialmente è il giorno in cui vengono organizzate le dimostrazioni. E si potrebbe anche aggiungere: «Gli oppressori non amano Twitter».
Nell’arena dei social media, ciascuno diventa una centrale operativa di un nuovo modo di vedere il mondo. Le persone sono sempre più consapevoli delle disparità nei diritti umani e nella distribuzione delle risorse. La gente comincia a farsi avanti- sia dalle parti di casa nostra che ai margini dell’impero - e chiede di essere trattata in maniera paritaria. Questa è già una forma di rivoluzione.
(Traduzione di Gioia Guerzoni)