giovedì 25 giugno 2015

Repubblica 25.6.15
I diritti degli ultimi
Lo scrittore nigeriano premio Nobel riflette sul suo continente
Un’anticipazione dal nuovo libro
La mia Africa oltre le parole le menzogne e le offese
“Durante una conferenza un giovane disse: “Siete inferiori per natura, altrimenti non sareste stati schiavizzati”
di Wole Soyinka


PER molte persone, l’Africa è un concetto più che uno spazio delimitato, il che significa, a sua volta, che non è un unico concetto, ma molti. Nello stesso tempo è realizzazione di un desiderio e realtà, proiezione e distillato storico, falsificazione e memoria. In generale, poi, l’Africa è considerata una riserva di risorse naturali non ancora sfruttate. Mentre per alcuni è un oggetto del desiderio, per altri è un incubo dal quale pregano di essere risvegliati, un pezzo dell’arazzo della storia i cui fili possono essere disfatti senza che il resto perda la sua definizione. (...)
L’Africa – concetto o realtà – è notoriamente un continente estremo, e non deve quindi sorprendere che susciti reazioni estreme. (...) Queste riflessioni nascono da un interesse naturale, e a tratti frustrante, per una camaleontica entità, dato che dalla sua definizione, in generale, deriva anche la mia. Si discutono affermazioni in cui mi sono imbattuto in circostanze molto differenti. Non sono mancati atteggiamenti di superiorità professorale del tipo: «Ma insomma, guardiamoci negli occhi, lei deve ammettere che c’è un problema con i popoli africani… Pensi a quello che è appena successo in… / al tasso di corruzione in… / con una frazione delle risorse naturali dell’Africa, altrove… ». In alcuni casi con una sfumatura di compassione: quasi un invito a me rivolto a entrare nel club d’élite da una zona temibile e da evitare. All’estremità opposta c’è il rassicurante consenso sulle arti tradizionali africane e l’ottimistica, addirittura entusiastica prognosi sulla sua economia: «L’Africa sarà la prossima grande economia a sconvolgere il mondo dopo la Cina, creda a me. Aspetti altri vent’anni e vedrà». Come se l’Africa, un territorio così vasto, potesse avere parametri di sviluppo omogenei per tutto il continente. (...) In tutto ciò spicca un incidente molto recente che, paradossalmente, ha approfondito la mia partigianeria: perché il suo rilievo storico sembra minare la convinta ostilità agli stereotipi che ho cercato di esporre in queste pagine. È accaduto a Bayreuth, in Germania, nel novembre del 2009. Avevo fatto riferimento, durante una conferenza, alla controversia che c’era stata l’anno prima sulla produzione dell’opera Idomeneo da parte della Deutsche Oper. Era stato espresso il timore che, siccome l’opera offriva un ritratto irriverente di personalità religiose e profeti, si offendesse la sensibilità religiosa di alcune persone. Nel mio discorso affermai che sia il Cristianesimo sia l’Islam si erano macchiati non solo di atrocità sul suolo africano, tra cui la riduzione in schiavitù degli indigeni, ma anche di un sistematico assalto alla spiritualità africana, nella loro lotta per l’egemonia religiosa. Le dichiarazioni di reciproca tolleranza delle due religioni, quindi, secondo me erano ancora limitate alla visione manichea di quegli incorreggibili egemonisti, che si erano dimostrati incapaci di prendere in considerazione i diritti di altre religioni al medesimo rispetto, al medesimo spazio e alla tol- leranza. Eppure – come sostengo apertamente in questo volume – proprio per questa ragione, secondo me, quelle religioni “invisibili” erano in una posizione unica per svolgere il ruolo di arbitri neutrali ogni volta che i due rivali si azzannavano alla gola.
Alla cena dopo la conferenza, l’osservazione di un giovane sui trent’anni, provocata dalle mie parole, rivelò implicazioni ben al di là delle mie intenzioni. Era banalmente offensiva, ma era interessante perché indicava l’esistenza di una convinzione profonda – non solo di quell’individuo, ma di un’intera consorteria ideologica, che lui semplicemente aveva espresso. In quel momento non sentii una voce, ma molte, da tutta l’Europa e dagli altri continenti.
Solitamente represse, aspettavano un’occasione per spuntare fuori – e non solo in quelle parole abrasive dette a una cena, ma negli episodi di violenza xenofoba organizzata.
Ecco ciò che disse: «Voi africani, deve ammetterlo, siete inferiori per natura. Non può essere altrimenti, o le altre razze non vi avrebbero schiavizzato per secoli. Gli schiavisti vi vedevano per quello che siete, quindi non potete prendervela con loro».
Fu una frase secca, detta con precisione, come una battuta lungamente provata. La tavola – la parte che aveva sentito – si zittì. Io, zitto a mia volta, cambiai di posto. Pochi istanti dopo anche il giovane interlocutore se ne andò, senza farsi notare.
© 2012 by Wole Soyinka.
2015 Bompiani / RCS Libri S.p.A. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency .Traduzione di Alberto Cristofori
L’INCONTRO Wole Soyinka parteciperà sabato alle 21, al teatro Parenti, a un incontro della Milanesiana Anticipiamo parte della prefazione del suo nuovo libro Africa (Bompiani, pagg. 192, euro 17)