lunedì 22 giugno 2015

Repubblica 22.6.15
Ma la piazza rossa di Syriza avverte il premier “Non è più tempo di concessioni”
“Basta lezioncine da quei soloni che hanno salvato le loro banche sulla nostra pelle”
La rassegnazione del professore di liceo: “Comunque vada a finire ci faremo male”
I militanti del partito di governo: non si possono fare passi indietro rispetto alle riforme elettorali
di Ettore Livini


ATENE. Otto di sera ad Atene. Il sole scende dietro il Partenone, mentre Giove e Venere — in un triangolo cosmico che qui vedono di buon auspicio — fanno corona alla luna. Alexis Tsipras sta partendo in questi minuti per Bruxelles dove si giocherà al summit dei capi di stato Ue il suo futuro politico e quello della Grecia. I sindacati e l’ala dei duri e puri di Syriza, visto il momento storico, hanno deciso di dargli man forte e di far sentire la loro voce alla Troika. Appuntamento (presenti circa 10mila persone) qui di fronte al Parlamento. Obiettivo: dire all’Europa — come recita lo striscione teso nel mezzo di Syntagma — che “la democrazia non si ricatta”. E ricordare al governo che “l’ora delle concessioni è finita e che non si può più fare passi indietro rispetto alle promesse elettorali”, come ribadisce sotto il suo cartello “Unfuck Greece”, la bionda insegnante d’inglese Alexandra Kassidis.
La parola d’ordine è chiara: “No al memorandum”, come è scritto su centinaia di cartelli rossi e bianchi appesi ai pali di Syntagma. Anche a costo di dare l’addio all’euro. «Tornare alla dracma? Staremmo meglio! — è convinto Costas Giannopoulos, studente di legge — La Merkel ha tirato troppo la corda. Negli ultimi cinque anni ho sperimentato cosa significa voler stare a tutti i costi nella moneta unica. E, vista l’esperienza, non ho paura di uscirne. Faremmo qualche mese da incubo, lo sappiamo. Ma poi ripartiremmo senza nessun burocrate a darci ordini da Bruxelles».
Gli Euzioni — i marziali soldati armati di zoccoli con pon pon — si danno il cambio della guardia davanti alla tomba del milite ignoto. «Ecco, guardi. Loro sono gli unici militari che terrei — dice Andreas Kollias, insegnante in pensione (“a 634 euro al mese”) — . Invece sa cos’è successo? Che il Fondo Monetario ha detto no a 400 milioni di tagli alla difesa, insistendo con Tsipras perché sforbiciasse di nuo- vo gli assegni di previdenza, il mio compreso. La guerra oggi è questa: grande finanza contro povera gente».
L’Fmi, va detto, ha smentito questa circostanza. Ma le ferite di cinque anni d’austerity hanno lasciato segni profondi e l’Europa, più che madre, è matrigna. «Noi abbiamo le nostre colpe — ammette sotto un cartello anti Troika Elena Petrakis — Ma quello che non sopporto sono gli ultimatum, le lezioncine di economia e le minacce che ci arrivano da quei soloni che hanno salvato le loro banche rifilando il cerino del debito greco a Ue, Bce e Fmi». Yanis Varoufakis ha appena snocciolato i numeri della via crucis: in un lustro gli stipendi sono calati del 37%, i consumi del 33%. La disoccupazione è al 27% e il debito pubblico, invece di scendere, è volato al 189% del Pil. «Dica lei se possiamo andare avanti così — si lamenta Ioanna, arrivata dal Pireo, — Lei è italiano? Dovrebbe manifestare anche lei. Se falliamo vi trasciniamo nel baratro».
Meglio fare gli scongiuri e augurarsi di cuore che non fallisca nemmeno la Grecia. Yannis, giovane militante di Antarsya, l’ala più radicale del partito, è tranchant: «Ieri abbiamo avuto una riunione in sede e abbiamo mandato un messaggio chiaro a Tsipras — racconta — Lui ha tutta la nostra fiducia e il nostro appoggio. Ma non deve farci scherzi adesso cedendo a compromessi». Piuttosto «meglio andare a cercare capitali altrove, li troviamo» dice sibillino.
Facile a dirsi, difficile a farsi. Anche perché in piazza a manifestare contro il memorandum ci sono tante teste con opinioni differenti. «Non ho votato Tsipras per farmi uscire dall’euro — racconta Petros Nikolaides, professore di liceo al Neo Psychiko — e non può farlo. Basta solo che combatta fino all’ultimo con onore». Uno zero a zero va bene. «Comunque vada a finire, tanto, ci faremo male — aggiunge sconsolato — Se facciamo l’accordo dovremo mandare giù altra austerità. Se usciamo dalla Ue staremo peggio di prima». Bella prospettiva. Domani, dopo il summit a Bruxelles, si vedrà quale dei due mali gli toccherà. Qui a Syntagma tra l’altro, alla stessa ora, è in calendario una manifestazione pro-euro. Sperando la Grecia faccia ancora parte della moneta unica.