Repubblica 21.6.15
Spuntano su Internet le parole dell’autore della strage
Il manifesto razzista del killer Roof “Non ho altra scelta devo punire i neri”
di Federico Rampini
NEW YORK . «Non ho altra scelta. Non posso andare da solo a combattere dentro il ghetto. Ho preso Charleston perché è la città più storica del mio Stato, e ad un certo punto ebbe la più alta percentuale di neri nel paese. Non abbiamo skinhead, non abbiamo un vero Ku Klux Klan, nessuno fa nulla se non parlare su Internet. Bè, qualcuno deve avere il coraggio di affrontare il mondo reale, e mi sembra che tocca a me». E’ il Manifesto di Dylann Roof, il 21enne autore della strage di Charleston. E’ una raccolta di testi razzisti, con pseudo-analisi dotte sull’inferiorità genetica dei neri, epiteti infamanti, odio e disprezzo a profusione. Impregnati di nostalgia dello schiavismo di cui Charleston e la South Carolina furono le roccaforti; di rimpianto per l’èra della segregazione; di ammirazione per i “modelli” che furono il Sudafrica e la Rhodesia. Mentre l’America liberal e progressista s’interroga sulla necessità di dare un nuovo status criminale a questo tipo di reati, definendo “terrorismo” le stragi dell’odio razziale, affiora alla luce del sole un’altra America dove il passato non passa mai. Dove Roof è solo la scheggia impazzita di una popolazione benpensante e rispettabile, bigotta e reazionaria, che la pensa come lui. Un’America dove è normale per l’assemblea legislativa della South Carolina esibire la bandiera dei Confederati, che è come dire: la guerra di secessione non è mai finita, gli schiavisti del Sud preparano la loro rivincita. Il Manifesto di Roof viene scovato per primo dal sito del New York Times, sabato pomeriggio, e in poche ore fa il giro della Rete. Non è chiaro chi ne sia l’autore, il sito che lo ospita si chiama Lastrhodesian.com cioè “l’ultimo rhodesiano”. La Rhodesia (oggi Zimbabwe) fu prima una colonia africana dell’impero britannico, poi uno Stato illegalmente dichiaratosi indipendente, governato da una minoranza bianca e ferocemente razzista, che si opponeva all’auto-determinazione della popolazione autoctona. Roof nella sua foto su Facebook indossava una giacca con cucite le bandiere della Rhodesia, e del Sudafrica ai tempi dell’apartheid. Sul sito Lastrhodesian lui si esibisce vicino a statue di cera di schiavi neri, impugna una pistola. Le foto sono state scattate in una ex piantagione di schiavi e nel museo della Storia dei Confederati nella South Carolina. Il titolo che introduce i testi, “Una Spiegazione”, sembra alludere ex post alle ragioni ideologiche della strage compiuta mercoledì sera, quando Roof ha sparato a ripetizione uccidendo nove fedeli afroamericani riuniti in una chiesa metodista. Però l’incertezza su chi sia davvero l’autore di quei testi, lascia aperta la strada a uno scenario perfino peggiore, la pista del complotto collettivo che angoscia la popolazione nera di Charleston. Se dietro Roof ci fossero altri che la pensano come lui, la strage di mercoledì potrebbe essere solo un inizio?
Intanto si scopre che Roof aveva un piano precedente: sparare all’interno del campus universitario della città. Era stato scoraggiato dai sistemi di sicurezza del college. Lo scrive la stampa americana citando il racconto di giovani che frequentavano il ragazzo. Uno dei suoi amici, Christon Scriven, suo vicino di casa afroamericano, ha raccontato al Washington Post che di recente, una sera Roof aveva detto di voler sparare nel College di Charleston. «La mia reazione all’epoca fu semplicemente: “Sei pazzo, cosa dici” ». Scriven ha poi aggiunto, parlando con l’Nbc, che Roof potrebbe aver cambiato proposito realizzando che l’accesso al campus era troppo complicato: «Mercoledì ha detto semplicemente che stava per accadere tutto. Ha detto che aveva sette giorni. Poi quando l’ha fatto ho pensato: accidenti, l’ha fatto davvero...». Per Joey Meek, altro amico di Roof, voleva la segregazione razziale, temeva che i neri stessero conquistando il mondo: «Diceva di aver un piano, che lo stava elaborando da sei mesi», ha raccontato, «nessuno lo prendeva seriamente però, almeno fino all’altra sera ».