domenica 21 giugno 2015

La Stampa 21.6.15
Gli ombrelli di Hong Kong sconfiggono il gigante cinese
Dopo il no alla legge elettorale si riapre la partita per la democrazia
Per la prima volta dal 1949 Pechino non si impone su un suo territorio
di Ilaria Maria Sala


Alla fine gli studenti di Hong Kong hanno vinto: il Parlamento ha respinto le modifiche costituzionali ed elettorali che Pechino voleva imporre sull’ex colonia britannica. Grazie ai 79 giorni di lotta iniziati alla fine dello scorso settembre e puntellati da occupazioni mai finite, raid di picchiatori e cariche della polizia, il movimento degli ombrelli ce l’ha fatta. È la prima volta che Pechino subisce uno smacco in uno dei suoi territori dal 1949, da quando il Partito Comunista prese il potere in Cina. E la prima volta che un territorio sotto la sua sovranità ne osa sfidare la volontà in modo così netto.
Pechino in qualche modo dovrà reagire, ma per ora si limita alle invettive. Pochi giorni prima del voto in Parlamento di giovedì scorso le strade della piccola città-stato erano tornate a riempirsi di studenti accampati e sit-in. Ora tutto tace e lungo i viali trasformati in tendopoli sono sparite anche le ultime tracce degli attivisti.
Editoriali e minacce
Già dagli Anni 80 Pechino, nel pieno delle trattative con Londra per il passaggio di sovranità di Hong Kong, promise che il territorio avrebbe avuto il suffragio universale, ma la democrazia non arrivò mai. Lo scorso 31 agosto «propose» che Hong Kong votasse per scegliere il proprio Capo dell’Esecutivo, ma solo fra candidati pre-approvati dal governo centrale.
Quella «riforma» portò studenti e giovani per le strade, che vennero bloccate per quasi tre mesi da un fiume di ombrelli, tende e sit-in. Tre mesi che hanno cambiato Hong Kong per sempre.
Gli ombrelli gialli, simbolo della protesta, hanno dimostrato una determinazione capace di convincere i 27 parlamentari a unirsi a loro e a bocciare la proposta elettorale di Pechino. Il progetto cinese è stato respinto con 28 voti contro e 8. E Pechino è allibita: sui giornali sono comparsi editoriali al veleno che insultavano i parlamentari chiamandoli «distruttori della democrazia», e ha chiamato a raccolta i suoi alleati, sgridandoli per la loro inettitudine.
Un’altra pagina
Nessuno sa cosa avverrà ora: non c’è legge elettorale per le elezioni del 2017, la sfida è aperta e il futuro è incerto. Ma per chi era rimasto accampato fuori dagli edifici governativi da settembre a oggi è tempo di andare finalmente a casa, con la gioia della vittoria.
Joshua Wong, giovane e carismatico leader studentesco, si è affrettato a dire che «non bisogna abbassare la guardia, ma continuare a lottare per il futuro di Hong Kong». La federazione studentesca ha pubblicato un documento in cui incita tutti a non cedere, dato che il suffragio universale è ancora lontano: «Questa non è la fine e nemmeno l’inizio della fine. È solo la fine della prima battaglia». Mentre il Capo dell’Esecutivo, l’impopolare Cy Leung, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha detto che ora bisogna occuparsi di «problemi quotidiani e dell’economia», spazzando sotto al tappeto la questione elettorale.
Ma Hong Kong ha dimostrato di essere caparbia nella sua richiesta di democrazia. Una battaglia è stata vinta, ma la guerra è ancora in corso.