domenica 21 giugno 2015

Repubblica 21.6.15
Claudio Giardiello
“Io, killer del tribunale chiedo perdono a tutti in cella sopravvivo ma ho un vuoto dentro”
L’incontro in carcere con l’imprenditore che il 9 aprile uccise tre persone a Milano Non parla con nessuno, non va all’ora d’aria, non legge e non guarda la tv
intervista di Sandro De Riccardis

Guardo assente. Vengono spesso a trovarmi i miei due figli e la mia compagna, ma qui non faccio niente, non me la sento
Le mie giornate sono piene di pensieri, mi sento un gran peso addosso

MILANO. Sono passati due mesi e mezzo da quella mattina di sangue e terrore al Palazzo di giusitizia di Milano, quando Claudio Giardiello scaricò un intero caricatore e tutta la rabbia contro chi pensava fosse la «causa di tutte le ingiustizie subite». Oggi la porta della cella 312 del carcere di Monza si apre di fronte a un uomo che da quel 9 aprile appare ancora svuotato dall’enorme tragedia che ha messo in atto. Assente, confuso, con gli occhi che guardano nel vuoto. Spenti. «Sono pieno di pensieri», dice al consigliere regionale della Lombardia che ieri è andato a trovarlo. «Ho un vuoto grande qui», e si batte lentamente il petto.
Dopo due mesi di isolamento, da quattordici giorni il killer del tribunale condivide una piccola cella al terzo piano del carcere con un altro detenuto. Quattro mura color argento, un lavandino, il water, un letto a castello. Giardiello dorme su quello più basso, dove tiene i pochi libri che si è fatto portare dai familiari, ma che non ha mai aperto. «I miei due figli e la mia compagna vengono spesso a trovarmi», dice. Ed è l’unico momento in cui il viso sembra distendersi e la sua mente riconnettersi con il mondo. «Chiedo sempre perdono - continua sempre, ogni volta che li vedo». E alle famiglie delle vittime?, chiede chi lo ha incontrato. «Anche a loro» risponde. E muove la testa dall’altro verso il basso, in senso affermativo.
Dal giorno della strage, Giardiello non ha mai spiegato come sia riuscito a entrare in Tribunale armato, come abbia beffato i controlli all’ingresso e sia arrivato indisturbato nell’aula dove si sarebbe celebrata l’udienza del processo in cui è imputato per la bancarotta della sua società, l’Immobiliare Magenta. Interrogato dalla procura, prima di Milano e poi di Brescia, dove è stata trasferita l’indagine, non ha mai aiutato pm e carabinieri del Nucleo investigativo di Milano a ricostruire la dinamica di quella mattina.
Comparso nei fotogrammi delle telecamere dell’ingresso posteriore di via San Barnaba, presidiato dal metal-detector, Giardiello entra in tribunale già alle 8.40. Chi dovrebbe fermarlo non si accorge di quell’uomo in caduta libera, precipitato da un passato di milioni facili nella “Milano da bere” a un presente in cui elemosina - fino a pochi giorni prima della strage - un lavoro e una casa popolare al comune di Garbagnate Milanese.
Il 9 aprile, dopo aver vagato tra i corridoi, raggiuge l’udienza. In aula litiga col suo avvocato, il legale annuncia davanti a tutti la rinuncia al mandato, ma la Corte lo invita a continuare nella difesa. È in questi secondi che qualcosa scatta nella mente del killer e scatena la sua furia omicida.Giardiello estrae la sua Beretta semiautomatica e fa fuoco contro il suo ex legale, il giovane avvocato Lorenzo Claris Appiani, 37 anni, chiamato a testimoniare proprio su insistenza dell’imputato, come nella pianificazione di una trappola. Appiani viene colpito a morte quando è ancora in piedi davanti al banco dei testimoni. Poi la sete di vendetta si sposta contro gli altri ex soci coimputati. Giardiello spara prima contro il nipote, Davide Limoncelli, 40 anni, che rimane ferito; poi ancora contro Giorgio Erba, 60 anni, centrato al petto e ucciso. Ma nella paranoica lista di morte, c’è anche il giudice fallimentare Ferdinando Ciampi: Giardiello, in un palazzo già sprofondato nel panico, scende di un piano e lo fredda con due colpi nel suo ufficio. Mentre scappa, incontra per caso il commericalista Stefano Verna, e lo gambizza sulle scale. Infine, ricercato in tutta la provincia, Giardiello va in scooter a caccia di un altro ex socio, salvo solo perché i carabinieri lo bloccano prima.
Di questo killer, spietato pianificatore di morte, oggi non c’è più traccia. Vestito con un paio di jeans, camicia a righe e scarpe da ginnastica, con barba e capelli in ordine, Giardiello appare come un uomo disconnesso dal mondo, immerso solo nei suoi pensieri. Non esce per le ore d’aria, non guarda la tv, non legge, parla poco con gli assistenti sociali di questo carcere organizzato ed efficiente, non ha preso libri in biblioteca e non legge quelli che gli hanno portato i figli. «Non faccio niente, non me la sento di uscire, di parlare con qualcuno» dice agli agenti che hanno una stanza proprio di fronte alla cella. Disinteressato all’inchiesta che potrebbe costargli l’ergastolo e al processo sulla bancarotta, teatro della strage. E per il quale la Cassazione, il mese prossimo, deciderà sulla richiesta di trasferimento a Brescia.