domenica 21 giugno 2015

Repubblica 21.6.15
Renzi,le nozze gay e il fantasma Dico “Io non finirò così”
Nel 2007 la partita dei diritti civili fu fatale per Prodi.Ora il governo deve fronteggiare la piazza
“Da Palazzo Madama voglio un testo blindato” E sulla famiglia la destra punta a riaggregarsi
di Carmelo Lopapa


ROMA . L’incubo dei Dico. Correre per non finire come Prodi, per non restare impantanati e infine risucchiati nelle sabbie mobili parlamentari che trascinano dritto a una crisi. «Il massimo rispetto per la manifestazione » ribadito ieri da Palazzo Chigi e dal “cattolico” Matteo Renzi non incideranno sul ruolino di marcia che il governo comunque si è imposto. Su questo, anche su questo, il premier non concede ripensamenti. «Io non voglio fare quella fine lì, il disegno di legge è in linea con la legislazione di altri paesi europei e rispettoso di tutte le sensibilità », è il ragionamento che sul tema ha più volte fatto proprio il presidente del Consiglio coi suoi, ripercorrendo la Grande Trappola della quale alla fine fu vittima proprio Romano Prodi nel 2006-2007, quando risultò inutile trasformare i Pacs in Dico e alla fine ritirare perfino quelli.
Ieri il giro di telefonate serali, seguito alle immagini di una Piazza San Giovanni gremita, ha confermato la linea. Per dirla col vicesegretario Deborah Serracchiani — che da presidente del Friuli ha già dato una spinta al riconoscimento dei diritti in regione — «il percorso deve e andrà avanti: c’è un impegno sul quale non si può tornare indietro». Tradotto, vuol dire che già nei prossimi giorni il disegno di legge Cirinnà dovrà essere approvato in commmissione Giustizia al Senato per essere poi incastrato, non senza difficoltà, tra la riforma della scuola e quella costituzionale. Obiettivo: ottere il primo via libera alle unioni civili prima della pausa estiva d’agosto. Una mezza impresa, nonostante i 4.320 emendamenti ostruzionistici depositati soprattutto da Ncd ( partito di governo) e Forza Italia siano stati ridotti dal presidente (forzista) Nitto Palma a 1.800. La relatrice pd che dà nome al testo, Monica Cirinnà, si dice convinta che già martedì ci saranno i primi voti in commissione. «Sarà fondamentale far uscire dal Senato un testo blindato che sia approvato poi dalla Camera senza modifiche », dice in uno slancio di ottimismo che minimizza la portata della piazza di ieri. Sulla carta i numeri ci sarebbero pure. Perché i 113 senatori Pd potranno contare sul sostegno dei 36 grillini, sugli ex M5s e Sel. Ma siamo sul filo dei 160 necessari. Alla Camera, in autunno, tutto sarebbe più facile. Il problema sarà arrivarci. «Anche perché noi sui quasi duemila emendamenti, già in commisione daremo battaglia », anticipa Maurizio Gasparri. Convinto che «il tema della famiglia può essere il punto di riaggregazione del centrodestra ». Anche se non tutti a destra sono pronti a scommetterci. Ieri, sui cento parlamentari firmatari dell’appello pro Family day, a San Giovanni si sono presentati solo una ventina. Per lo più uomini di Alfano (Ncd) al seguito di Maurizio Sacconi e del promotore Alessandro Pagano. Tra i berlusconiani si contavano, oltre a Gasparri, i soli Lucio Malan, Elisabetta Gardini e Antonio Palmieri. Non c’era l’ombra di un leghista (tutti a Pontida con Matteo Salvini che del resto pochi giorni fa aveva «scomunicato» Papa Bergoglio). Silvio Berlusconi, com’è noto, sul tema piuttosto condizionato dalla compagna Francesca Pascale, ha mutato il suo indirizzo e il partito almeno su questo è in gran parte con lui. «Berlusconi è a favore del riconoscimento dei diritti, ma nettamente contrario all’equiparazione delle unioni con i matrimoni», si fa scudo Gasparri. Certo, ci sono i Fratelli d’Italia e, appunto, gli agguerritissimi parlamentari del ministro Alfano, che invocano non già modifiche ma il ritiro del ddl Cirinnà. Il tentativo a destra sarà quello di convergere sul ddl manifesto di Sacconi, che riconosce sì alcuni diritti, ma esclude qualsiasi equiparazione. Rispetto all’era del primo Family day, manca la copertura della Cei. E non è cosa da poco. L’Ncd segna comunque il punto di rottura in maggioranza. Il sottosegretario Scalfarotto definisce «inammissibile» la piazza di ieri? L’Ncd Pagano chiede le sue dimissioni, mentre il capo del Viminale non va a San Giovanni ma benedice via Twitter l’iniziativa definendola «uno spettacolo», al grido «difendiamo i nostri figli». Alfano non ne fa mistero: quando il testo approderà in aula, per l’Ncd «non ci sarà vincolo di maggioranza ». Come per lui, per tutta l’Area popolare centrista.
Le sabbie mobili sono in agguato.