domenica 21 giugno 2015

Repubblica 21.6.15
Se nasce quella strana alleanza tra Forza Italia e sinistra Pd
Le opposizioni sono in grado di far pesare i loro numeri al Senato sulle riforme istituzionali
di Stefano Folli


NON è alle viste un nuovo patto del Nazareno nella Roma politica. Nessun condominio Renzi-Berlusconi come si era visto, fra alti e bassi, fino all’elezione di Mattarella al Quirinale. Ci sarebbe, sulla carta, un’esigenza di solidarietà nazionale rispetto ai temi più drammatici del momento: la gestione dei migranti, la politica verso l’Europa, le opzioni anche militari in Africa del Nord. E, si potrebbe aggiungere, le conseguenze della crisi greca. Ma nessuno pensa a questo genere di solidarietà politica. Se si riparla del Nazareno è solo a causa dell’indebolimento di Renzi e della maggioranza dopo il voto amministrativo.
Per meglio dire, ci si accorge all’improvviso che l’Italicum - la legge elettorale appena approvata e fatta firmare al presidente della Repubblica - non piace più quasi a nessuno. Renzi si sta accorgendo che il ballottaggio centrato sul candidato del Pd solo contro tutti è un azzardo non da poco. Bisogna trovare, come scrive l’ispiratore tecnico della legge, Roberto D’Alimonte, dei nomi abbastanza “ trasversali” e neutri da raccogliere il consenso anche di chi non ha votato il Pd al primo turno. Lapalissiano, ma non facile da realizzare nella pratica, dal momento che si vota per una lista ben definita, con il suo simbolo e la sua impronta politica, non per le coalizioni realizzate nei singoli collegi, come ad esempio in Francia.
Questo aspetto accresce l’incertezza di un quadro mutato troppo in fretta. A Palazzo Chigi si riflette non senza inquietudine sulla marea montante delle liste anti-sistema: sembrava che con Renzi si fosse trovato l’antidoto giusto per contenerle e ridurle ai minimi termini, ma non è così. A parte i risultati delle amministrative, c’è il sondaggio Demos: quel 26 per cento attribuito ai Cinque Stelle, più il 14 per cento di Salvini, è una sirena che suona l’allarme nella nebbia. Il che vale per il Pd di Renzi, ridimensionato al 32 per cento, e per il partito di Berlusconi, accreditato di un 14 per cento (al pari della Lega) che nelle attuali circostanze è quasi un successo.
TUTTAVIA, se i dati sono questi, Renzi non ha oggi alcuna garanzia di prevalere nelle future elezioni legislative. E nemmeno, va detto, nelle grandi città dove si voterà nella primavera 2016. A sua volta Berlusconi, o chi parlerà in suo nome nei prossimi tempi, non appare in grado di federare una coalizione vincente. In tali condizioni, cambiare la legge elettorale appena varata rischia di essere una tentazione irresistibile per una classe politica timorosa di essere travolta da un’intesa di fatto (certo non sottoscritta intorno a un tavolo) fra gli elettori “grillini”, leghisti e senza partito. Uniti dal desiderio di punire il governo.
Eppure non c’è chi non veda che modificare l’Italicum, introducendo il premio di maggioranza alla coalizione vincente e non più alla lista, significa far passare Renzi sotto le Forche Caudine. È la sua bandiera, quella riforma, e ammainarla prima di averla sventolata equivale a una seria sconfitta personale. Anche se fosse il prezzo da pagare per far passare la legge costituzionale del Senato, a sua volta probabilmente modificata con l’introduzione di una forma di elezione diretta (con modalità tuttora controverse). Un punto è chiaro: allo stato delle cose, se in Parlamento si registrasse una convergenza sulla riforma dell’Italicum, non sarebbe il nuovo patto del Nazareno, ma qualcosa di abbastanza diverso: un accordo fra berlusconiani e minoranza del Pd contro i capisaldi del renzismo. Vale a dire la legge elettorale, certo, ma anche la trasformazione del Senato: i puntelli che hanno sorretto in questi mesi la mitologia del rinnovamento istituzionale. Su questo terreno Renzi oggi è spinto a trattare in condizioni di inedita fragilità, mentre i suoi avversari lo stringono d’assedio e sullo sfondo si avverte l’avanzata del populismo anti-sistema.