Repubblica 20.6.15
L’amaca
Il “suprematismo”
di Michele Serra
CHE NOME elegante, “suprematismo”, per definire quella sudicia tara dell’anima che è il razzismo. Non quello rozzo, animalesco, dettato dalla paura istintiva dell’altro; ma quello organizzato a freddo, pensato, scritto e letto, con i suoi maestrini e i suoi pensierini, le sue bandierine e le sue armi mortali, il vergognoso razzismo che teorizza l’inferiorità degli altri come disperato rimedio alla propria. “Inferiore” è un aggettivo terribile da usare — se si ha rispetto e pietà dell’umano — ma aiuta a definire quel pozzo di demenza nel quale si sprofonda ogni volta che ci si imbatte in tipi come questo Dylann, con un padre come quello che, da maschio a maschio, gli regala un pistolone tanto per chiarire che il feticismo per le armi da fuoco non è una malattia sociale, no, ma un gagliardo diritto di uomini liberi, da tramandare nelle generazioni. Piccoli mondi magari formalmente lindi ma dal cuore piccolo, dallo sguardo ottuso, feroci guardiani della propria meschinità. Capaci di frugare nel web fino a trovare le pezze d’appoggio del loro odio, come quella goffa invenzione segregazionista che fu la Rhodesia di Ian Smith, remoto ricordo dei telegiornali in bianco e nero della nostra adolescenza che impavesa, oggi, le t-shirt degli adolescenti nazisti americani. Il fatto che perfino la bandiera rhodesiana — una deprecabile ma trascurabile invenzione della storia — possa diventare “un simbolo” lascia capire quanto smisurato sia il fabbisogno dell’odio mondiale.