Repubblica 16.6.15
Marino si difese: io i mafiosi volevo cacciarli
A maggio il faccia a faccia con gli ispettori. Oggi la relazione della prefettura
di Giovanna Vitale
ROMA . A palazzo Senatorio, giovedì 21 maggio, è una giornata stranamente tranquilla. L’agenda è sgombra, nessun impegno istituzionale previsto per il pomeriggio. Ma è solo apparenza. Il sindaco Ignazio Marino sa bene cosa sta per accadere. Che (anche) da quell’appuntamento dipenderà la sua permanenza alla guida di Roma: convocato in audizione dai tre commissari prefettizi che da dicembre stanno indagando sulle infiltrazioni mafiose in Campidoglio.
Mezz’ora di “interrogatorio” che fornisce la chiave per leggere le quasi mille pagine di relazione, planata ieri sera sulla scrivania del prefetto Franco Gabrielli. Trenta minuti o poco più per cercare di fare chiarezza su tutta una serie di atti varati dalla giunta attuale - dai debiti fuori bilancio alle proroghe contra legem di appalti nel sociale e nel verde - già finiti sotto la lente degli 007 del Tesoro che nell’aprile 2014 rilevarono come, «a seguito del cambio di amministrazione, la situazione non sembra aver fatto registrare particolari miglioramenti».
La premessa per chiedere conto al sindaco in carica - cui pure si riconosce il tentativo di fare pulizia e agire in discontinuità con il passato- il perché delle tante, troppe «incertezze» e «timidezze » mostrate in alcuni settori dell’amministrazione. A cominciare dall’Ambiente, dove l’ex direttore del Dipartimento Gaetano Altamura, nominato proprio da Marino e a dicembre finito indagato (ora ai domiciliari), è stato lasciato libero di manovrare a favore di Carminati e soci. Per non parlare di Giovanni Fiscon, il dg di Ama che pilotava appalti in cambio di soldi. «Ma io volevo cacciarlo», cerca di difendersi Marino, «solo che quella mattina mi arrivarono diverse telefonate da alti esponenti del Pd, in giunta l’ex assessore Ozzimo espresse la sua ferma contrarietà, e io lasciai perdere». Spiegazioni che tuttavia non scoraggiano la Commissione, decisa ad approfondire. A capire soprattutto perché fosse stata mandata via l’assessore al Sociale Rita Cutini, «vissuta dall’organizzazione criminale come un ostacolo», osserva il capo degli ispettori. È lì che Marino sbianca, poi contrattacca: «È stata una valutazione di merito, legata alla sua operatività. Ogni volta che c’era da gestire un’emergenza, lei non c’era mai».
Un botta e risposta sintomatico di ciò che gli ispettori prefettizi cercavano. E hanno messo nero su bianco al termine dei sei mesi trascorsi a spulciare bandi di gara e capitolati d’appalto, proroghe e concessioni, delibere di giunta, di consiglio e determine dirigenziali. Un’immensa mole di carte, prodotte dal 2008 a oggi, che il prefetto Marilisa Magno, la vice Enza Caporale e il dirigente del Mef Massimiliano Bardani hanno analizzato facendosi guidare dalla legge sulle infiltrazioni mafiose negli enti locali e dalla famosa sentenza 103/93 della Consulta - entrambe citate nel corposo report - a caccia di ogni indizio utile a provare le mani dei clan sul Campidoglio. Ovvero la presenza di quei «collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata» o anche di «forme di condizionamento » tali da compromettere «la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento» dell’amministrazione. Elementi che tuttavia il “pacchetto sicurezza” varato nel 2009 dal governo Berlusconi - precisano i tre ispettori - vuole «concreti, univoci e rilevanti»: una riforma che, criticò al tempo il giudice Cantone, ha indebolito l’istituto dello scioglimento per mafia.
Paradossalmente è proprio da lì, da quella norma voluta dal centrodestra, che potrebbe arrivare la salvezza di Marino. Partendo da una considerazione: tra la vecchia e la nuova amministrazione ci sono notevoli differenze. E non solo perché gli assessori, i consiglieri e i dirigenti comunali dell’era Alemanno sono tutti accusati di associazione di tipo mafioso, mentre ai cinque del centrosinistra coinvolti nell’inchiesta (pur se in manette perché a libro paga di Carminati & soci) tale aggravante non è contestata.
Ora il prefetto Gabrielli avrà 45 giorni per esaminare la relazione e scrivere il suo parere, che a fine luglio verrà consegnato al ministro dell’Interno. Il quale entro tre mesi potrà proporre al consiglio dei ministri lo scioglimento del Campidoglio. A quel punto la decisione sarà del governo, dunque politica. Sempre che non prevalga la terza via, ovvero il commissariamento parziale di Roma, cioè di quei settori dell’amministrazione che risultano tuttora inquinati da Mafia Capitale.
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IN TRINCEA Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, a sinistra Salvatore Buzzi