martedì 16 giugno 2015

Corriere 16.5.15
Appalti alle coop e trasparenza violata. Quello che la politica sapeva (e ignorò)
di Giovanni Bianconi


ROMA Non c’erano solo gli appalti assegnati alle cooperative di Buzzi per l’emergenza alloggi in violazione delle regole imposte dalla legge, nell’allarme lanciato a inizio 2014 dagli ispettori del ministero dell’Economia sui conti del Campidoglio. Anche nel settore dell’assistenza ai minori stranieri non accompagnati — una delle greppie che foraggiava la mucca di Buzzi munta dai politici, per usare la sua metafora — emergono anomalie legate al meccanismo dei debiti fuori bilancio nel biennio 2012-2014, puntualmente stigmatizzate dalla relazione ministeriale.
Uno strumento riservato a spese improvvise e non programmabili, che potrebbe diventare truffaldino se utilizzato per acquisire «beni e servizi al di fuori delle ordinarie regole contabili; in tal caso — denunciarono gli ispettori — si è sempre in presenza di una scorretta quantificazione delle somme effettivamente necessarie a finanziarie le spese dell’ente». Sistema che forse permetteva di rispettare l’equilibrio di bilancio, ma sintomo di un’ulteriore illegalità: «Trovare copertura negli esercizi successivi a spese non certamente qualificabili come imprevedibili, è configurabile quale fenomeno elusivo delle disposizioni del Patto di stabilità».
La relazione ministeriale è citata nel nuovo ordine d’arresto per Mafia Capitale, ed è stata utilizzata dalla commissione prefettizia per trarre le proprie conclusioni sull’ipotetico condizionamento mafioso dell’amministrazione capitolina. Censure e comportamenti scorretti si riferiscono al periodo della Giunta Alemanno (lo stesso ex sindaco è inquisito per associazione mafiosa), ma anche della Giunta Marino, a causa del coinvolgimento di diversi consiglieri della nuova maggioranza nelle trame di Buzzi e Carminati. È vero che fu proprio Ignazio Marino, all’indomani dell’insediamento, a chiedere e ottenere l’intervento degli ispettori vincendo le resistenze dell’ex ministro Saccomanni; ma è pure vero che alla luce delle «criticità» rilevate quasi un anno prima degli arresti che hanno scompaginato il «mondo di mezzo», poco o nulla era cambiato nell’assegnazione degli appalti alle coop. Di ispirazione rossa o bianca che fossero, visto che «gli affidamenti diretti, in assenza di qualsivoglia procedura concorrenziale» riguardavano anche il gruppo de La Cascina, vicino a Comunione e Liberazione.
Non si può sostenere, insomma, che prima dell’intervento della magistratura la politica (anche quella «nuova» approdata in Campidoglio nel 2013) non avesse gli strumenti per capire ciò che di sospetto si nascondeva dietro le manovre di Buzzi e i suoi modi d’agire. Certo, si poteva non sapere dei legami con Carminati e i suoi metodi ipoteticamente mafiosi, tuttavia le regole violate della trasparenza erano sotto gli occhi dell’amministrazione da tempo. Prima che fossero svelate dall’indagine. Senza che l’amministrazione prendesse adeguate contromisure.
Questa inerzia diventa ora un elemento a carico di Giunta e Consiglio comunale, nella ricostruzione della commissione prefettizia incaricata di verificare gli estremi per un eventuale scioglimento per mafia. Ed è richiamata dalla Cassazione nella sentenza con cui ha certificato l’ipotesi dell’associazione mafiosa a carico di Carminati e coindagati (altro passaggio che potrebbe spingere nella direzione dello scioglimento, in virtù della «imposizione di un controllo dell’associazione su buona parte dell’amministrazione capitolina»). Secondo i giudici, infatti, s’è creata «una situazione di assoggettamento talmente radicata e pervasiva di fronte alla quale nessuno, in sede politica o giudiziaria, sia essa penale ovvero amministrativa, ha mai osato innalzare una voce di dissenso».
L’incapacità di reagire da parte della politica s’è dunque trasformata in un indizio a sostegno del metodo mafioso che l’avrebbe condizionata, e oggi rischia di contribuire al suo affondamento.