martedì 16 giugno 2015

Repubblica 16.6.15
Il tallone di Matteo a un anno dal 40% cade il mito dell’invincibilità
La scorsa estate il leader celebrava la storica vittoria alle Europee ora è alle prese con le prime sconfitte
di Filippo Ceccarelli


OH, insidia beffarda degli anniversari! Giusto un anno fa (14 giugno del 2014), quando all’hotel Ergife venne riunita l’Assemblea nazionale del Pd, qualcuno ebbe la scenografica ideona di piazzare al posto d’onore, stampata a caratteri televisivi sul fondale del palco, la cifra magica della recente vittoria europea: quel 40,8 per cento che per dodici mesi è poi risuonato in ogni possibile sede come il dogma dell’invincibilità di Matteo Renzi.
Il giovane leader volle quel giorno definirlo: «Una sconvolgente attestazione di speranza ». Sempre alle sue spalle si leggeva risolutamente: «Adesso tocca a noi» e, preceduto dall’immancabile cancelletto, «#Italiariparte».
Vero è che insieme a una memoria a scartamento piuttosto ridotto, gli italiani hanno una storica tendenza a esaltare i vincitori, talvolta fino alla divinizzazione. Ma nel giugno dello scorso anno, per il premier, tutto andava molto meglio di oggi - anzi troppo.
Qualche giorno prima, al Festival dell’Economia di Trento, Renzi si era abbandonato all’enfasi inscrivendo il risultato europeo nello statuto del Prodigioso: «C’è un allineamento di fattori astrali irripetibili». Messi anche così a tacere i gufi, in un costante tripudio di selfie e « gimmefive » raccoglieva ovunque lodi e ammirazione. Un giornò benedì la folla affacciandosi in maglietta bianca da una finestra di Palazzo Chigi; di lì a poco quei simpaticoni del Pd di Roma annunciarono la Festa dell’Unità con un manifesto che ammiccava studiatamente a Fonzie; e sempre in quel mese, per restare al trionfo dello stile Renzi, venne notato che a Pitti Uomo molte linee della kermesse fiorentina sembravano «ispirate al premier, prevalendo i suoi colori preferiti, il blu e i toni dell’azzurro, le giacche di lino, le camicie extra slim per fisici allenati, i pantaloni a sigaretta ma non troppo corti»... e vabbè.
Sembrava di cogliere un che di fanciullesco, ma insieme di già visto e torvo, in questo correre « in servitium », come scriveva il professor Zagrebelsky, del vincitore. Però era quasi indiscutibile che su di lui, più di ogni altro nella politica italiana, si fosse posata l’ala della vittoria: «Veni, vidi, Renzi - titolava Le Monde - Un sogno di Rinascimento italiano». Evvài.
Si potrebbe continuare a lungo, con malizia tanto più allegra quanto mesta risulta l’odierna atmosfera sia al Nazareno che a Palazzo Chigi (oltre che a Genova, a Venezia, in Sicilia, eccetera). Rimane appena da dire che nella realtà, o se si preferisce nella storia anche recente, nessuno è per sempre invincibile.
Non lo fu Craxi, battuto prima dal diabete e poi dalla scoppola referendaria («Io i miracoli non li faccio»); non lo fu Andreotti i cui portenti, teorizzava Baget Bozzo, «apprenderemo nella Valle di Giosafat»; e poi fu sconfitto Bossi e infine anche Berlusconi, che diceva: «Ogni volta che perdo, triplico le mie forze». Quanto all’invulnerabilità, con un salto al tempo stesso ragionevole e temerario, si può concludere che perfino Achille aveva il suo proverbialissimo tallone.
La mitologia, al riguardo, è tortuosa. Omero, Igino, Stazio, le Etiopiche , l’ Eneide , le Metamorfosi di Ovidio al libro XII... Quasi certamente c’entra il Fato, oppure un dio - Apollo? - che comunque deviano il corso della freccia avvelenata di Paride, e zàcchete , addio Achille!
Ora, più la politica si rivela inconcludente e più si alimenta di miti, di suggestioni e di chiacchiere. La mimetica indossata dal premier ad Erat non ha funzionato. Così, specie dopo il secondo turno, lo storytelling renziano sembra di colpo in debito di fantasia e creatività.
In questi casi i capi concedono di solito il minimo indispensabile: il vecchio e caro «errore di comunicazione», il «non siamo riusciti a trasmettere» e così via. Ma quando la dea Nike, la Vittoria, comincia a fare i capricci, beh, in un tempo di procurati incanti, visioni artificiali e leaderismi carismatici, il guaio è più serio di quanto i numeri e gli spin doctor si sforzino di dimostrare.
Ecco, c’è davvero qualcosa che non va più nel renzismo, quando si placa il sindaco Marino nominando un «coordinatore » invece che un «commissario » del Giubileo; così come l’aver «asfaltato» la minoranza democratica sull’Italicum lascia all’improvviso il tempo che trova di fronte alle ingenuità, alle incertezze e agli errori messi in vetrina per l’emergenza immigrazione - a parte il ruolo non proprio influente esercitato da Federica Mogherini in sede europea.
La Buona Scuola impantanata; quella della Pubblica amministrazione quasi dimenticata; le unioni civili ormai in ritardo; il fisco amico che amico non è; la Rai te la saluto... Ridotto a ornamento scenografico e a litania da talk- show, il 40,8 per cento è durato come un sospiro.