martedì 16 giugno 2015

Repubblica 16.6.15
Matteo senzaterra
di Ezio Mauro


MATTEO senzaterra. Questa la nuova immagine del presidente del Consiglio e soprattutto del segretario del Pd, man mano che i Democratici cedono terreno a Grillo e alla destra perdendo Nuoro, Fano, Arezzo, Gela, Augusta, Enna e soprattutto Venezia, capitale simbolica di questa sconfitta incubata nei municipi e nei territori, proprio dov’era nata la sfida renziana.
Avevamo avvertito che le regionali erano una vittoria numerica, ma una chiara sconfitta politica. Adesso la crisi del Pd, nonostante i successi a Mantova, Lecco, Segrate, Trani e Macerata, è anche numerica ed è davanti agli occhi di tutti: negarla è impossibile per cinque ragioni evidenti.
L’astensione che supera il 50 per cento anche in elezioni comunali conferma che l’incantamento è rotto e il renzismo si deve guadagnare il pane nella lotta di tutti i giorni, senza rendite di posizione: diventa uguale agli altri. L’inseguimento del partito della nazione ha lasciato sguarnito il fianco di sinistra, e la disaffezione si vede e soprattutto si conta. La rincorsa al centro arranca perché il cambiamento ristagna.
Il Pd è il luogo del conflitto e non delle idee, del risentimento e non del sentimento di una sinistra moderna.
SEGUE A PAGINA 37
LO SCANDALO ininterrotto di Roma e gli impresentabili ammucchiati attorno all’impresentabile De Luca in Campania entrano in contraddizione con la retorica della rottamazione e la annullano: soprattutto quando il vertice tace, e come dice il proverbio in qualche modo acconsente.
O Renzi fa il Capo del governo e libera l’autonomia del Pd, trasformandolo in quel soggetto politico che non è, oppure deve occuparsi del partito, dotandolo del fondamento culturale che ancora manca, e che è la base e la fonte sicura di ogni scelta politica consapevole: com’è possibile ad esempio che sui migranti non sia ancora nata una moderna cultura di sinistra, capace di coniugare la domanda di sicurezza con la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri, lasciando invece il campo libero al pensiero unico e feroce di Salvini? E non sarebbe questo il miglior terreno di protagonismo e di sfida per la sinistra interna, invece del ruolo meccanico e subalterno che si limita a dire no a ogni proposta del premier?
Il test amministrativo conferma che la destra è ormai una presenza fissa sulla scena italiana — così come l’antipolitica grillina — anche quando è allo stato gassoso, senza un recipiente e un’etichetta. Berlusconi non lascia un erede perché non lascia una cultura, ma ha evocato un mondo, che continuerà ad essere abitato a destra dopo di lui.
Ma a ben guardare, il test dice qualcosa di più. Paradossalmente gli sfidanti in crescita, M5S e destra, oggi non hanno leadership nazionale ma hanno un’identità politica e la radicalità di una proposta, due elementi che in politica creano un “campo” riconoscibile e riconosciuto. Il Pd ha leadership, e poco altro. In un Paese frastornato, non basta più.