martedì 16 giugno 2015

Il Sole 16.6.15
Un Pd lontano dal «centro» e la destra a caccia di Un Brugnaro nazionale
di Lina Palmerini


Il voto, oltre le sconfitte del Pd, dimostra che il centro-destra ha un problema nuovo e il centro-sinistra uno vecchio. Il partito di Renzi resta “vecchio” sulle proposte, come immigrazione o sicurezza, per vincere e conquistare i voti di centro. La destra ha un nuovo dilemma: vince a Venezia ma non ha un Brugnaro nazionale.
Queste elezioni amministrative hanno un po’ spazzato via tutta una serie di conclusioni a cui si era arrivati sul partito di Renzi. Primo: non è vero che non ha avversari. Li ha e si sono visti a Venezia o ad Arezzo così come in realtà minori dove hanno vinto i 5 Stelle. È quindi falsa la tesi per cui il campo dell’avversario è libero e a disposizione del leader Pd. Secondo: non è vero che il partito renziano ha cambiato il Dna del centro-sinistra e gioca anche nell’area moderata. Non è avvenuto. O come dice Arturo Parisi: «È un’operazione fattibile ma non è fatta». Terzo: è mancato il Renzi segretario di partito e sui territori le scelte non sono state coerenti con un’idea di cambiamento.
Tirando le somme, l’avversario c’è e si chiama centro-destra perché quando la coalizione si ricompatta e trova un leader è in grado di riprendersi quei voti che in altre tornate e per svariati motivi erano rimasti nel freezer. Non c’è invece quello sfondamento al centro del Pd renziano di cui si era avuta l’illusione con le europee dello scorso anno. Lo spostamento del baricentro non c’è stato per alcuni motivi. Innanzitutto perché la piattaforma del Pd resta “vecchia” su alcuni temi come immigrazione e sicurezza. Si è visto bene in questa campagna elettorale che il partito non è più in grado di fronteggiare né programmaticamente né concretamente un’emergenza. Non basta lo slogan dell’accoglienza, non basta appellarsi all’Europa. Serve una nuova proposta. E partendo da un nuovo presupposto: non è vero che chi vota a sinistra vuole accogliere senza limiti e a ogni costo. La sicurezza è una necessità trasversale in tutti gli elettorati.
Dunque il problema di Renzi è di essere rimasto a una fase pre-rottamazione su alcuni temi cruciali per vincere le elezioni. Questo voto amministrativo ha mostrato quelli dell’immigrazione e sicurezza ma il premier è rimasto indietro anche su altre questioni altrettanto fondamentali. Che si chiamano tasse e taglio di spesa pubblica. Perché se sul lavoro e sui sindacati il leader Pd si è spinto oltre le colonne d’Ercole della sinistra tradizionale, sul fisco e sulla spending review la musica è la stessa, anzi, è rimasto tutto fermo. Tutto come nelle ricette di sinistra con la paura di toccare quella spesa pubblica che è il nuovo totem della minoranza dopo l’articolo 18. E quindi ripetendo le parole di Parisi, «lo sfondamento al centro è stata un po’ una chiacchiera, il momento magico del 41% è passato e ora Renzi deve gestire una nuova fase facendo le riforme».
Ma, sporgendoci dalla parte degli avversari, si vede che cantano vittoria su Venezia ma tacciono il vero problema. Un problema che per loro è nuovissimo e si chiama leadership. Per 20 anni non si è mai posto visto che Silvio Berlusconi troneggiava come unica opzione. Ora non è più così, le amministrative dimostrano che i voti di centro-destra ci sono ancora ma che serve uno come il neo sindaco di Venezia, un Brugnaro nazionale, per scongelarli e rimotivarli. Una figura moderata in grado di aggregare una coalizione che, come si vede in Liguria o a Venezia, può battere il Pd di Renzi a un futuro ballottaggio secondo le regole dell’Italicum. Negli ambienti di centro-destra già si fanno due nomi: Luca Zaia e Alfio Marchini. Uno ha la controindicazione di non essere gradito al Sud, l’altro di non riuscire a parlare al Nord ma rispondono comunque a un profilo moderato. È, insomma, indicativo che non si parli di Salvini. Per la stessa ragione che salda il vecchio problema del Pd con il nuovo del centro-destra: non cattura i moderati.