lunedì 15 giugno 2015

Repubblica 15.6.15
La Russia,ma anche la Cina ecco il nuovo Grande gioco
Obama tentato dalla dottrina del contenimento di Truman
di Vittorio Zucconi


RISPOLVERATA dagli armadi della Guerra Fredda dove sembrava destinata a prendere polvere per sempre, la dotttrina del “contentimento” militare dell’Urss concepita 70 anni or sono torna di attualità con Obama che invia i mezzi corazzati sulla soglia della casa di Putin. La decisione di pre—posizionare tank pesanti e leggeri, artiglieria mobile e gli effettivi di una brigata nei Paesi Baltici, in Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria, dunque proprio sulla soglia dei territori del piccolo Zar, non sposta di nulla un equilibrio militare che favorisce incomparabilmente le Forze Armate della Federazione Russa, ma segna un altro passo avanti nella escalation della nuova Mini Guerra Fredda. Fortunatamente, senza missili offensivi e almeno senza riedizioni di una Cuba alla rovescia.
Pezzo dopo pezzo, dagli incidenti registrati fra Cina e Stati Uniti nel Mar Meridionale della Cina attorno alle insignificanti isole Spratly al sorvolo di un caccia russo nel Mar Baltico che ha sfiorato unità francesi, tedesche e britanniche quattro giorni or sono, la scacchiera del “Grande Gioco” politico, militare e psicologico fra le tre maggiori potenze si sta ricomponendo e i giocatori muovono le pedine, negando di avere intenzioni provocatorie. Anche questa dislocazione di mezzi militari ai confini della Russia ha naturalmente «obbiettivi di sola dissuasione », dice la Nato e servirà per «manovre e addestramento » delle truppe estoni, lettoni e lituane.
Ma se la dottrina del “Contenimento” della spinta espansionistica della Russia di Stalin tracciata da George Kennan per Harry Truman nel 1946 aveva una semplice qualità bidimensionale — Est contro Ovest, Capitalismo contro Socialismo, Rossi contro Blu, Buoni contro Cattivi — la partita che ora Cina, Russia e Usa hanno ingaggiato è chiaramente tridimensionale. Ed è ancora più confusa e velleitaria che ben definibile. I tre giocatori hanno intenzioni diverse eppure in collisione fra loro. La Cina vuole essere considerata un protagonista politico, non più solo gigante economico e la forza trainante in Asia. La Russia di Putin, dopo le umiliazioni degli anni eltsiniani, vuole riconquistare il rango di superpotenza, soprattutto nel versante occidentale, dunque europeo, nel nome del ritrovato panrussismo nazionalista. E gli Usa di Obama, devastati dai disastri morali e strategici dell’Era Bush, vogliono restare rilevanti ovunque. E tornare a essere il perno attorno al quale, dopo il collasso dell’Urss, il resto del mondo ruotava.
La scelta di inviare un piccolo contigente di Humvee, di corazzati leggeri Bradley e Stryker e di tank pesanti M1-A1 agli estremi confini orientali della Nato non ha grande impatto strategico, come hanno riconosciuto anche i governi dei tre Paesi Baltici e i polacchi, e non sposterebbe molto in caso di attacco in forze dei russi. Nè, riconoscono gli esperti americani, ci sarebbero nazioni europee pronte a morire per i Baltici. Ma il senso di questo dispiegamento è il suo essere il “canarino nella miniera”, la sentinella che con il proprio sacrificio avverta del pericolo. Un dispositivo di allarme che i russi, sul versante opposto, leggono esattamente al contrario, come l’avanguardia di un’offensiva oggi solo politica, domani militare.
Quelle terre, dalla Karelia alla Crimea, dalle acque del Golfo di Finlandia a quelle del Don passando per le Repubbliche Baltiche, la Polonia, l’Ucraina, la Romania, sono le terre irrigate dal sangue di guerre e di massacri insieme troppo antichi e troppo recenti per non essere sempre scacchiere combustibili. Inviare “sentinelle” o “avanguardie” sulla soglia di Casa Putin comporta non soltanto un violazione del trattato fra gli Usa e la agonizzante presidenza di Boris Eltsin nel 1999, quando Mosca, impotente, accettò l’espansione della Nato a condizione che truppe straniere e mezzi importanti non fossero piazzati nelle nuove nazioni accorpate. È la manifestazione politica della ormai completa sfiducia che la Casa Bianca di Obama, i generali del Pentagono, il nuovo ministro della Difesa Ashley Carter nutrono nei confronti di Putin. E del tentativo di riesumare quella “Dottrina Truman”, la dottrina del contenimento, che poi lo stesso autore, George Kennan, sconfessò, denunciandone gli abusi.
L’ansia di tornare alla primazia internazionale, o almeno di non creare l’impressione di avere abdicato al ruolo di guardiano del nuovo ordine mondiale, sta angosciando gli ultimi mesi del presidente Obama. Come tanti dei suoi predecessori arrivati all’esaurimento della propria parabola, che fossero Democratici o Repubblicani, impopolari come Carter o Nixon oppure molto amati come Reagan e Clinton, così anche Obama riversa sulla politica estera quanto rimane del potere dimezzato da un Parlamento ostile. Inviare alcune pedine nelle estreme province orientali del declinante impero americano, tra il Baltico e il Don, segnala la determinazione a tracciare una linea nella sabbia, dopo avere fallito in Siria. La prova di contare ancora.
Ma i gesti valgono, nel Grande Gioco, per come l’avversario dall’altro lato della scacchiera li legge e ciò che appare una mossa di attesa a un giocatore, può apparire come un’azione aggressiva all’altro e avviare una spirale di ansie. Nel marzo del 1989, con il Blocco dell’Est ormai prossimo alla decomposizione, nel Quartier Generale dell’Armata Rossa si convinsero da intercettazioni e decrittazioni che un attacco della Nato per dare la spallata definitiva fosse imminente e prepararono il contrattacco. Fu una spia del Gru, il servizio di intelligence militare russa, infiltrato al comando Nato a Bruxelles, a chiamare i superiori da una cabina pubblica per gridare loro che erano soltanto manovre.