lunedì 15 giugno 2015

Repubblica 15.6.15
Il fronte orientale
Quattro giorni fa si è sfiorato lo scontro tra un aereo di Mosca e le navi della Nato
Una escalation di diffidenza reciproca
di Andrea Tarquini


BERLINO RISALE ad appena quattro giorni fa, l’11 giugno, l’ultima scintilla di una guerra evitata per un soffio, e per entrambi i campi l’escalation di diffidenza e paura dell’altro in crescendo continua inarrestata. È accaduto proprio nel Baltico, quando un quadrimotore antinave Ilyushin 38 dell’aviazione navale russa ha quasi sfiorato il cacciatorpediniere americano Uss Jason Dunham, e altre tre navi Nato, una britannica, una tedesca e una francese. Volo radente del colosso a 150 metri dal ponte delle navi. Sarebbe bastato un minimo errore di manovra, o nervi in tilt a un aviatore russo o a un marinaio occidentale, per finire male. E allora decolla il riarmo. Volano le spese militari dei paesi baltici e della Polonia, che aspettano con speranza lo schieramento a casa loro di armi pesanti americane. Salgono spese militari e allerta nella Svezia neutrale e in Romania, teme il peggio anche la Finlandia. E la Russia di Putin accelera più di tutti: spese militari cresciute dell’8,1 per cento nel 2014, di un 15 per cento (significa un mostruoso 60 per cento in più di armi) nel 2015, se sanzioni e crisi economica non lo limiteranno. Ventisei anni dopo la caduta del Muro di Berlino, è soprattutto nel Nord e nell’Est europeo che i nemici di ieri tornati avversari voltano le spalle all’addio alle armi.
«Se volessimo potremmo prendere Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia fino al confine tedesco in due settimane»: disse il presidente russo. Parole affiancate da fatti, sottolineano gli esperti Nato e quelli neutrali del Sipri, l’istituto svedese di ricerche sulla pace. Più armi, dai micidiali bombardieri Sukhoi 34 ai reparti di hacker che bloccano il Bundestag e spiano Angela Merkel, oltre 100 intrusioni degli enormi vettori atomici Tupolev 95 e dei Sukhoi in Europa, dai cieli finnici e svedesi alla rotta d’atterraggio di Londra- Heathrow, rischiando collisioni con jet civili in arrivo uno ogni 30 secondi, fino al Portogallo. E allora non basta più, per tranquillizzarsi, sapere che dall’Estonia alla Manica i Typhoon della Royal Air Force o altri jet Nato caccino via gli intrusi. Baltico e Polonia, nervi al calor bianco, riarmano in corsa.
«Stiamo trattando con Washington per accogliere il preschieramento delle loro armi pesanti », dice il ministro della Difesa polacco, Tomasz Siemoniak. «Se succede il peggio, spostare soldati da noi è facile, ma è bene avere prima qui l’equipaggiamento »,aggiunge. Pensa chiaramente a G.I. americani, “tommies” britannici e magari truppe scelte francesi. E intanto Varsavia spinge l’acceleratore della Difesa. Ha già aumentato le spese del 38 per cento negli ultimi 10 anni, ora cresceranno di un altro 20 per cento nel 2015. Poi verranno 33,6 miliardi di euro fino al 2026. La lista della spesa è lunga: 97 droni, missili da crociera per armare gli F16 punta di lancia dell’aviazione più forte della “nuova Nato”. E poi centinaia di carri armati, probabilmente altri Leopard 2 tedeschi, navi, missili antimissile. «La chiave di una soluzione politica o militare l’ha in mano Mosca, non vediamo una pace vicina», avverte il presidente Bronislaw Komorowski.
L’annuncio dell’altro ieri del Pentagono ha acceso sollievo e speranze, dal Baltico a Varsavia, fin giù alla Romania. Duecentocinquanta tank pesanti M1 Abrams, blindati trasporto truppe, artiglieria, intelligence elettronica, quanto basta per 5000 soldati usa, da “pre-schierare” in tutti questi paesi. «Vogliamo più forze Nato nei nostri territori, servono come deterrente contro piani d’aggressione russa», afferma il capo dello stato estone Toomas Ilves. Intanto le tre piccole democrazie, quasi disarmate (ciascuna ha solo una minuscola guardia nazionale, niente armi pesanti né jet) aumentano in corsa le spese militari: Tallinn del 7,3 per cento, Riga del 14,9 per cento, Vilnius addirittura del 50 per cento. Cifre piccole (rispettivamente 412, 254 e 425 milioni di euro), possono appena creare infrastrutture efficienti per gli americani in arrivo. E per i piloti britannici, italiani, polacchi, tedeschi, che a rotazione difendono i cieli baltici respingendo “visitatori” quasi ogni giorno. Ma il sintomo della paura è chiaro: è un’inversione di tendenza in umori e percezioni collettive, da cui il presente non offre molte speranze di tornare indietro. «Ogni notte ci sentiamo più sicuri, quando il rombo di un jet della Nato ci toglie il sonno», ci ha detto recentemente Vytautas Landsbergis, leader conservatore dell’indipendenza lituana.
Facile accusare baltici e polacchi di isterismo, noi non avendo vissuto mezzo secolo di occupazione. La paura corre veloce, a nordovest dei confini russi. La neutrale, pacifista Svezia intensifica in corsa i contatti con la Nato, e dopo una generazione di tagli torna a più spese militari. Sono cresciute del 5,3 per cento almeno, e il Parlamento ha chiesto un aumento ancor maggiore, del 12 per cento in 5-7 anni. Programmi precisi, chiariscono chi Stoccolma teme: altri bisonici multiruolo Saab 39 Gripen oltre ai 140 in servizio, missili da crociera per armarli in missioni antinave, radar, nuovi sottomarini, più missili antiaerei, missili antinave per la difesa costiera soprattutto nell’isola di Gotland, dove la marina e i Gripen sono in allarme rosso permanente dopo continui sconfinamenti dell’”orso”. «Le azioni russe in Ucraina sono la più grande minaccia all’ordine europeo dalla fine della guerra fredda», avvertiva un rapporto del Riksdag, «e un conflitto nel Baltico diverrebbe un incendio inarrestabile». Non aumenta le spese militari la Finlandia, ma solo perché è da tre anni in recessione. Anche Helsinki comunque tiene squadriglie e reparti speciali in massima allerta. Cresce invece il bilancio della Difesa romeno. Dal Baltico ai Balcani, dalle due parti della nuova Cortina di ferro, la corsa al riarmo continua. E sia “noi” che “loro”, quasi come nel 1914, notano fonti governative tedesche, siamo in mano al timore che ogni gesto distensivo segnali debolezza e cedimento. Alle armi della ragione preferiamo la ragione delle armi.