lunedì 15 giugno 2015

Corriere 15.6.15
La difficile scelta curda fra il sogno e la realtà
risponde Sergio Romano


La parte orientale dell’Anatolia ha votato massicciamente la propria identità curda. Se per ipotesi questa regione pretendesse l’autonomia, l’unione con il Kurdistan iracheno e iraniano o l’indipendenza, che cosa succederebbe?
Nerio Fornasier

Caro Fornasier,
Nell’ultimo decennio i curdi hanno vissuto e prosperato grazie agli errori altrui. La guerra americana del 2003 ha inflitto all’unità dello Stato iracheno un colpo da cui Bagdad non riesce a risollevarsi; ma ha creato, di fatto, un Kurdistan iracheno che ha consolidato la propria autonomia e tratto grandi vantaggi, anche economici, dalla fragilità del potere centrale. La guerra civile siriana ha devastato il Paese e costretto alla fuga poco meno di 4 milioni di persone. Ma ha conferito al piccolo Kurdistan siriano un peso strategico di cui si è servito con destrezza. In Siria e in Iraq l’Isis ha riscosso grandi successi ed è una minaccia per l’intera regione; ma ha fatto dei curdi, in entrambi i Paesi, i più efficaci difensori delle popolazioni sciite, dei cristiani e della minoranza yazida. Come ha scritto Roberto Tottoli sul Corriere del 9 giugno, «mai come ora, i curdi godono delle simpatie internazionali. Paiono improvvisamente un fattore di stabilità in una regione squassata da guerre civili e divisioni feroci».
Quale uso faranno dei loro successi? Cederanno alla tentazione di combattere una nuova battaglia per la nascita di un Kurdistan iracheno che riunirebbe in un solo Stato i curdi turchi (15,4 milioni), siriani (1,3), iracheni (4,3) e iraniani (6,8)? La risposta potrebbe venire dalle scelte politiche del partito curdo che si è affermato nelle elezioni politiche turche degli scorsi giorni. Il Partito democratico del popolo (Hdp) ha superato la soglia del 10%, uno sbarramento innalzato per limitare la sua rappresentanza parlamentare, e avrà circa ottanta deputati. Ma il successo è in buona parte dovuto alla campagna elettorale del suo leader, Selahattin Demirtas. Brillante avvocato dei diritti umani, Demirtas è riuscito a raccogliere simpatie e consensi in quella parte dell’elettorato che non approva il tradizionalismo musulmano del presidente Erdogan, il suo stile sultaneggiante, le sue scelte politiche dopo le rivolte arabe, la dura repressione delle manifestazioni di protesta contro l’urbanizzazione del Gezy Park di Istanbul.
Senza perdere interamente le sue radici curde, Hdp potrebbe diventare il partito liberal-democratico di cui la Turchia ha bisogno. Ma deve accantonare, se vuole avere questo ruolo, il sogno di un Kurdistan unificato. Troverebbe sulla sua strada molti elettori di cui ha conquistato il voto, la ferma opposizione del governo turco (chiunque ne abbia la guida) e quella non meno ferma dell’Iran, per non parlare delle perplessità delle maggiori potenze. Questo non significa che debba dimenticare la causa curda. Ma quanto più saprà rinunciare a obiettivi difficilmente raggiungibili, tanto meglio potrà lavorare per l’autonomia dei curdi che vivono negli altri Paesi della regione.