lunedì 15 giugno 2015

Repubblica 15.6.15
La strategia del cerino
di Andrea Bonanni


SULLA crisi greca si sono dette, necessariamente, molte bugie. La più grossa, ripetuta dagli europei come un mantra estenuante, è che non esista un “piano B” per il default greco. Bugia legittima. Perché la prima regola del “piano B” è proprio quella di non dare ai mercati l’impressione di aver in qualsiasi modo favorito il default di Atene e di non aver cercato di scongiurarlo in tutti i modi. Insomma, di non farsi beccare dall’incendio greco con il cerino in mano. Questo spiega, da Parigi a Berlino, da Roma a Bruxelles, il comportamento di ministri, commissari, presidenti e capi di governo.
E CIOÈ perché abbiano cercato in tutti questi mesi di sopire la crescente irritazione per l’atteggiamento del governo Tsipras e si siano prodigati in solenni dichiarazioni sull’ineluttabilità della permanenza della Grecia nella moneta unica. Il motivo di questa ipocrisia è abbastanza semplice. Un default greco comporta due costi: il primo elevato, il secondo insopportabile. Il primo costo è rappresentato dal volume del debito che i governi europei hanno garantito alla Grecia. Se questa dovesse fare bancarotta, i contribuenti europei sarebbero chiamati a ripianare un buco di centinaia di miliardi (solo per l’Italia si parla di quaranta miliardi). Sarebbe un salasso pesante per un continente che sta finendo di mettere i conti in ordine dopo la crisi, ma non mortale.
Il secondo costo che si rischia di pagare riguarda la natura stessa della moneta unica e la sua sopravvivenza. Fin da quando Draghi, tre anni fa, ci salvò dalla crisi di sfiducia dei mercati promettendo che avrebbe fatto “ whatever it takes “ per garantire la tenuta e l’indivisibilità dell’eurozona, il postulato dell’indissolubilità dell’euro è diventato il suo unico scudo dagli attacchi dei mercati. Un postulato garantito dalla Bce con il consenso e la benedizione dei governi e delle istituzioni comunitarie.
È evidente che se ora la Grecia dovesse fare default, e soprattutto se dovesse uscire dalla moneta unica, il “postulato Draghi“ verrebbe rimesso pesantemente in discussione. E se i mercati dovessero smettere di credere che l’Europa difenderà la propria moneta “costi quel che costi“, si riaprirebbe inevitabilmente la guerra dei debiti sovrani. Gli spread tornerebbero a volare. I governi europei, soprattutto quelli più vulnerabili come l’Italia, si ritroverebbero alla casella di partenza di questo mostruoso Gioco dell’Oca innescato dalla crisi, azzerando i risultati di anni di sacrifici dolorosi. Difficilmente l’Europa potrebbe permettersi di pagare un prezzo simile.
È questo il motivo per cui i governi e le istituzioni della Troika hanno cercato in tutti i modi di spingere i greci ad accettare il piano di salvataggio. Ed è anche il motivo per cui Tsipras ha pensato di poter trattare con Berlino e Bruxelles da posizioni di forza: convinto di tenere in ostaggio la sopravvivenza stessa della moneta unica.
Ma l’Europa non può neppure permettersi di tenere la Grecia nell’euro azzerandone i debiti e finanziando all’infinito una politica che rifiuta di fare le riforme necessarie. Se imboccasse questa strada, i partiti populisti di tutti i Paesi in difficoltà, dalla Spagna all’Italia alla stessa Francia, avrebbero buon gioco nel chiedere lo stesso trattamento riservato ai greci. E probabilmente, ostentando l’esempio di uno Tsipras trionfante, vincerebbero le elezioni decretando, per altra strada, la morte della moneta unica. Di fronte a una Grecia che, almeno fino ad ora, rifiuta di piegarsi al principio di realtà e si avvia verso il baratro del default, l’Europa non ha dunque altra scelta che quella di rendere evidente, soprattutto agli occhi dei mercati, che essa è stata fino all’ultimo disposta a fare whatever it takes per
salvare Atene e tenerla nell’euro. La moneta unica non è una prigione. Questo anche i mercati lo riconoscono. Se un Paese rifiuta, in modo peraltro assolutamente legittimo, di fare le scelte necessarie per restare nell’Unione monetaria, nessuno ha il diritto di obbligarlo. Se dunque risulterà chiaro che il default è una scelta sovrana del governo di Atene, che non vuole ridurre il proprio deficit o tagliare un sistema pensionistico più generoso di quello tedesco, i mercati non avranno motivi di rimettere in discussione il “postulato Draghi“. E dunque non avranno motivo di attaccare la coesione dell’Unione monetaria, che resterà appannaggio di quei Paesi che ne condividono le regole.
Se invece si dovesse diffondere la sensazione, peraltro ingiustificata, che sia stata proprio l’Europa a spingere la Grecia verso il default con richieste illegitime e non praticabili, il teorema della indivisibilità dell’euro subirebbe un colpo mortale. L’Europa si ritroverebbe con il cerino acceso in mano. E i mercati potrebbero essere nuovamente tentati di metterne in discussione la tenuta.
Ecco perché il “piano B“, che certamente esiste, parte proprio dalla necessità di confermare la determinazione degli europei a fare whatever it takes , sia sul piano monetario sia su quello delle scelte politiche nazionali, per restare uniti. Se poi in questo contesto qualcuno dovesse decidere di andarsene, sarà libero di farlo. Il cerino resterà in mano a lui. Agli europei toccherà leccarsi le ferite e pagare il prezzo di una fiducia mal riposta. Ma non quello, ben più salato, di una solidarietà tradita.