lunedì 15 giugno 2015

Repubblica 15.6.15
Il simbolo capovolto
di Stefano Folli


VENEZIA scivola verso il centrodestra dopo oltre vent’anni di sindaci di sinistra. È il dato senza dubbio più significativo dei ballottaggi nelle città. Venezia città di frontiera sul piano politico, dentro i confini di una regione tradizionalmente amministrata dal centrodestra, prima Forza Italia e ora la Lega. Venezia laboratorio politico, se così si può dire: tant’è che con Massimo Cacciari ha vissuto l’esperimento di un centrosinistra che contendeva i voti alla marea montante leghista, nel tentativo di suggerire un cambio di passo al partito romano (prima Ds, poi Pd) e di imporre la “questione settentrionale” come problema politico cruciale che la sinistra non poteva ignorare.
Ebbene, Venezia ha smesso di fidarsi del Partito democratico dopo anni di disillusioni. E non si è fidata nemmeno di Felice Casson, l’ex magistrato, il candidato scelto attraverso il solito meccanismo delle primarie. Personaggio connotato come anti-Renzi, Casson; anzi, uno dei più tenaci e puntuali in Parlamento fra gli oppositori del presidente del Consiglio, tanto da essere etichettato come seguace di Civati. Ne deriva che Renzi non piangerà troppo per la sua sconfitta, visto che stavolta si tratta della disfatta di un avversario interno. In realtà per il premier sarebbe stato necessario vincere. Perdere nella più importante delle città in cui si è votato al secondo turno, è in ogni caso un passaggio a vuoto in un momento in cui Palazzo Chigi avrebbe bisogno di buone notizie e non della conferma di trovarsi nel mezzo di un periodo grigio.
Certo, questo risultato non influirà sul quadro nazionale. Ma sarebbe un errore sottovalutare i messaggi che gli elettori veneziani hanno mandato a Roma. Il primo è appunto che il Pd sta attraversando un periodo mediocre.
A Venezia il partito non aveva da tempo una buona immagine e Casson non è bastato a rinnovarla, forse anche perché non ci ha provato abbastanza. Si conferma in ogni caso che oggi al Nord sono in difficoltà tanto i candidati vicini al presidente del Consiglio (e segretario del Pd) quanto i suoi avversari, portatori di una diversa idea del partito. Perdono sia le Moretti e le Paita, alle regionali, come i Casson alle comunali.
L’ex magistrato non è riuscito a convogliare su di sé i voti dei Cinque Stelle. Probabilmente gli elettori di Grillo sono rimasti a casa, in buona compagnia visto che circa il 52 per cento dei veneziani non si è scomodato per il secondo turno. Sta di fatto che la vittoria di Brugnaro, uomo pratico con la patina di indipendente, capace di battere sul problema del momento, la sicurezza, indica una notevole capacità di aggregazione da parte di un “uomo nuovo” o che riesce ad apparire tale. Niente Berlusconi a Venezia, niente retorica dei tempi andati. Brugnaro ha nascosto i buchi neri di Forza Italia ed è riuscito a convogliare su di sé i voti di Salvini e anche quelli di un ampio arco di forze eterogenee. I grillini, come si è detto, probabilmente si sono astenuti. Ma non è senza significato che così facendo abbiano favorito in modo indiretto la vittoria del candidato di centrodestra.
Fra un loro amico, quale Casson aveva dimostrato di essere in Parlamento, e un personaggio a loro sconosciuto come Brugnaro hanno preferito lasciar vincere quest’ultimo. È una riflessione che senza dubbio a Renzi non sfuggirà. Cosa accadrà il giorno in cui si voterà per le politiche nazionali con l’Italicum? Quel giorno Renzi andrà al ballottaggio con il Pd, ma dall’altra parte potrebbe trovarsi di fronte una coalizione eterogenea di tipo veneziano. Una coalizione, non sappiamo guidata da chi, in grado di mettere insieme leghisti e ex berlusconiani, oltre a coloro che esprimono in modo confuso un malessere e un desiderio di cambiare. È uno scenario molto pericoloso per il presidente del Consiglio. Venezia in fondo si conferma laboratorio politico. Un laboratorio per la nuova destra che cerca la sua direzione di marcia.