sabato 13 giugno 2015

Repubblica 13.6.15
L’innesco pericoloso
di Chiara Saraceno


FENOMENO largamente ingovernato e lasciato a soluzioni trovate sul momento, il continuo flusso di arrivi di migranti rischia di trasformarsi nell’innesco di un processo di frantumazione sociale.
MA ANCHE di sfiducia prima ancora che di de-solidarizzazione, di grandi proporzioni, con esiti imprevedibili per la coesione sociale. Tanto più che i vari populismi soffiano sul fuoco di legittime paure, enfatizzano i rischi (oggi la scabbia, ogni giorno la criminalità e la violenza), chiamano alla rivolta contro gli invasori e contro un governo indicato come imbelle. La cautela con cui si muovono, i distinguo che operano, anche gli amministratori di sinistra e i candidati al ballottaggio di domani testimoniano di come i politici più vicini ai territori siano consapevoli di stare su una polveriera su cui hanno scarso controllo. Il fatto è che tutti sanno che la miccia è accesa. Mancano però i pompieri e l’acqua. Manca una organizzazione, una regia, che indichi una strada praticabile non solo nel giorno per giorno, che non si comporti come se l’emergenza di questi giorni non fosse prevedibile e perciò non ci si potesse attrezzare per tempo, sia per accogliere chi arriva, sia per convincere i partner europei a fare la loro parte. Dopo l’ennesima tragedia di Lampedusa sembrava che il governo italiano e l’Alto commissario europeo agli affari esteri fossero riusciti a imporre all’Unione europea una assunzione piena di corresponsabilità. Ma poi l’accordo dato per raggiunto si è via via ridotto, prima nei numeri (e tempi) dei richiedenti asilo che gli altri paesi erano disposti ad accogliere, poi nella trasformazione di un impegno vincolante in pura discrezionalità volontaria, senza che dal governo italiano si sia sentita una protesta, forse per timore di perdere quel po’ di flessibilità sul bilancio faticosamente ottenuta. Come se il contraccolpo di una crisi forte della coesione sociale e della vittoria dei populismi non rappresentasse un pericolo più grave, anche per le finanze. Quanto all’Alto commissario Morgherini, se ne è persa traccia. In compenso, diversi paesi hanno sospeso Schengen, ritornando ai controlli alle frontiere per tutti. La Lega si è affrettata ad applaudire, chiedendo che sia sospeso anche in Italia, come se ci fossero migranti che premono ai confini francese o austriaco per entrare nel nostro paese e non, invece, per lasciarlo.
Chiudere le frontiere interne avrà poco effetto sia sugli arrivi in Italia, sia sui tentativi di chi arriva di lasciare il più presto possibile il nostro paese, non lasciandosi identificare, per andare in altri, dove si trovano già parenti. Persone che hanno passato mesi e talvolta anni per arrivare in Europa, non si faranno facilmente dissuadere da controlli, respingimenti alle frontiere, condizioni di vita miserabili, come quelle di chi si accampa nelle stazioni. Avrà invece l’effetto di esasperare ulteriormente il rapporto tra autoctoni e migranti.
È compito del governo e delle sue articolazioni territoriali agire con fermezza perché la responsabilità sia condivisa da tutte le realtà territoriali, garantire i sostegni, economici e organizzativi e non lasciare che si creino condizioni di vita incivili dentro e fuori i centri di accoglienza. Condizioni che oltre a essere inaccettabili in un paese che si vuole civile e democratico, non fanno che attizzare il fuoco del malcontento e della insicurezza nella popolazione autoctona, specie in quella che per forza di cose vi è più a contatto, esattamente come avviene per i campi rom lasciati nel degrado nelle periferie più povere. Il lassismo con cui si lascia che la stazione metropolitana di Milano sia colonizzata da venditori abusivi è simile a quello per cui si lascia che migranti alla ricerca di un passaggio fuori Italia si ammassino alla stazione di Milano e Roma fino a quando diventano troppo visibili e allora arriva o un presidio medico o una carica della polizia. Monitorare per tempo questi fenomeni aiuterebbe a contenerne l’inaccettabilità per i cittadini. Ma è compito del governo anche far sentire la propria voce anche in Europa e all’Onu, rifiutando scelte unilaterali, magari proponendo una visione meno disumanizzante di quella che vede i profughi e richiedenti asilo come oggetti da spostare da un posto all’altro a prescindere dalla meta che loro desiderano raggiungere.
Se questa azione non è possibile, se l’Italia e ancor più la Grecia sono chiamate a Bruxelles solo per rispondere dei compiti loro assegnati da chi veramente comanda nella UE e non anche per chiedere che i confini non siano permeabili solo alla concorrenza, ma anche agli esseri umani, e che la solidarietà non riguardi solo la salvaguardia degli interessi forti, il rischio per l’Europa appare più grande di quello costituito dall’uscita della Grecia dall’euro. Se l’Europa, infatti, è solo quella della austerità imposta ai più deboli e della solidarietà non condivisa, davvero non si capisce a che cosa serva ed è sempre più difficile difenderla anche agli europeisti.