sabato 13 giugno 2015

Repubblica 13.6.15
Per chi suona (davvero) la campanella
di Adriano Sofri


TORNIAMO sul sostegno: cioè sugli alunni, i genitori, gli insegnanti di sostegno (e non) e le autorità competenti. Sapevo di toccare un nervo molto sensibile, le reazioni al mio articolo del 21 maggio sono state molte e accese. Questo mostra prima di tutto che non c’è stata finora un’informazione chiara e una discussione adeguata, e ce n’è tanto più bisogno dal momento che la “Buona Scuola” chiede una delega al governo per riformare il sostegno nei successivi 18 mesi. Le reazioni mi hanno aiutato a farmi un’idea più ampia, e a interpellare più stringentemente le autorità competenti. (Non terrò conto delle accuse vicendevoli di voler umiliare o strumentalizzare i bambini disabili). Una prima questione riguarda la possibilità di passaggio (consentita oggi dopo 5 anni) dal sostegno all’insegnamento “normale” delle materie. Chi vuole abolirla ha a cuore la continuità del sostegno (in realtà, in molte situazioni attuali, anche un paio d’anni continui sarebbero un passo avanti) e depreca che si scelga il sostegno come un accesso più facile alla docenza, con la riserva di lasciarlo appena possibile. Il proposito è giusto, ma è dubbio che lo si raggiunga imponendo di scegliere irreversibilmente la carriera del sostegno dall’università. Candidati senza vocazione continuerebbero a sceglierla se vi vedessero una via più accessibile, e nemmeno al miglior formazione riuscirebbe a prevalere sulla loro renitenza: diventeranno cinici, o maltrattatori. Una selezione iniziale che badasse alla doppia qualità della vocazione e della formazione garantirebbe molto meglio, e gli eventuali passaggi, comunque limitati, si riserverebbero a insegnanti provati da un lavoro che, affrontato degnamente, è davvero emotivamente coinvolgente e fisicamente faticoso. Non ci sono dati esatti su quanti sono oggi i passaggi dal sostegno all’insegnamento della materia dopo i 5 anni (troppi, comunque, benché i numeri Istat siano più rassicuranti); oltretutto c’è anche il passaggio inverso, cioè la frettolosa riconversione di insegnanti “ordinari” – di educazione fisica, per esempio restati senza incarico, e dirottati al sostegno. Nei mestieri che si prendono cura della debolezza –medici e infermieri, badanti, assistenti sociali, e genitori e insegnanti di sostegno… - ci sono le persone che possono fare più bene e più male. Ci sono genitori che sperano dalla scuola miracoli che la scuola –né altri non può fare. Ci sono genitori disperati che fanno bocciare i figli, che la scuola li tenga più a lungo, e dopo la maggiore età temono il vuoto. Genitori che pensano che il sostegno e la sua riforma siano loro competenza – e non anche di insegnanti e di pedagogisti - e temono un sostegno fatto “contro le famiglie”, un po’ come avvenne con l’applicazione della legge Basaglia. E poi, succede pressoché a ciascuno di fare i conti, per un accidente o una malattia, anche con la propria debolezza.
Oggi i docenti di sostegno sono 130 mila, 95 mila dei quali di ruolo. Veniamo al punto più esposto: la ventilata separazione delle carriere di sostegno e insegnamento della materia, paventata come una “ medicalizzazione” del sostegno. Ho cercato le opinioni delle associazioni di disabili e familiari, degli insegnanti, dei pedagogisti e dei singoli con esperienze e idee da avanzare. Sommariamente si dividono così: le principali Federazioni rappresentanti di disabili, Fand e Fish, pensano che solo la separazione assicuri al sostegno la formazione specializzata (ma non “monovalente”, su un’unica patologia, precisa a loro nome Salvatore Nocera) che le disabilità dei ragazzi esigono; altri chiedono all’opposto che sostegno e insegnamento restino intercambiabili, e anzi lo siano di più, come vorrebbe Dario Ianes, che punta sulla formazione all’inclusione di tutti gli insegnanti, con una minoranza di “esperti” itineranti. Altri ancora, come la pedagogista Marina Santi o Daniela Boscolo, temono che nell’una e nell’altra visione l’insegnante di sostegno dimagrisca fino a scomparire, assimilato nel primo caso all’operatore della patologia, nel secondo al docente ordinario. Una terza posizione, come Evelina Chiocca del Ciis o il Comitato Insegnanti Bis-abili, punta sulla “cattedra mista”, cioè – semplifico - a una turnazione fra docente della materia e del sostegno (il quale è a sua volta formato in una materia). Il sottosegretario Davide Faraone, che col suo staff è particolarmente impegnato su questo cruciale capitolo della “Buona Scuola”, è intervenuto, dopo il mio articolo, per negare il rischio di “medicalizzazione”, e la stessa separazione: “I ruoli tra i docenti curricolari /delle materie, cioè, nota mia/ e di sostegno dovrebbero essere intercambiabili…”. Essendosi fatto tutto più chiaro e insieme più confuso ai miei occhi, ho proposto i vari interrogativi che avevo raccolto allo stesso Faraone e ai suoi collaboratori. Faraone mi ha esposto una nuova posizione: “Ci proponiamo di agire non su un doppio ma su un triplo binario: rafforzando la preparazione specifica anche degli insegnanti della materia, la cui sinergia col sostegno è decisiva per evitare l’isolamento dei ragazzi; conservando e rafforzando il sostegno; e affiancando agli uni e agli altri degli operatori con una formazione peculiare per le patologie più impegnative, che tuttavia restino docenti e non sanitari”. La condizione oggi più evocata è l’autismo, e anche Faraone riferisce la propria esperienza di padre. “Così disastrosa che abbiamo trasferito la nostra bambina a una scuola privata, dove oltretutto può seguirla anche la sua operatrice, e i risultati sono confortanti: ma se noi possiamo permettercelo, tante altre famiglie non possono”. Dice anche che le contrapposizioni sul sostegno, aspre come sono, possono rivelarsi largamente dovute a fraintendimenti e diffidenze, anche sul tema della “cattedra mista”. E che la delega da votare con la legge vuol dire davvero un periodo sufficiente a confrontarsi sul tema senza vincoli insuperabili, compresa la proposta di legge a firma sua e di altri e le diverse opzioni di associazioni, sindacati e singoli. Gli dico che mi auguro il contrario, ma il suo “triplo binario” rischia di apparire un paradosso o un espediente, e di tirargli addosso i sospetti di tutte le parti. E che comunque prevede più soldi, e un certo ottimismo: l’operatore che sia, in una sola persona, prima docente, poi docente di sostegno, e infine formato su una patologia, ha qualcosa di leonardesco. I soldi in più li abbiamo messi, dice. E tutta questa discussione è ancora pregiudicata da una condizione che prima o poi andrà affrontata: quella per cui oggi ci sono più o meno 185 classi di concorso per gli insegnanti, figlie di quella proliferazione di titoli di materie universitarie che servì a moltiplicare, se non le baronie, le sottobaronie.
Bisogna augurarsi che la discussione si faccia costruttiva, e riduca il bianco della delega in bianco richiesta nella legge. Ho ricevuto il diario di un’insegnante: “Quando era necessario ho accompagnato l’allieva in bagno, ho aspettato accanto a lei che facesse la cacca e poi l’ho pulita… Ho preparato schemi, riassunti e verifiche di informatica, matematica, fisica, chimica, scienze della terra, biologia, scienze motorie, filosofia, italiano, storia, storia dell’arte, inglese, discipline geometriche, discipline progettuali. Dal livello prescolare al livello quinta liceo”.
Quanto alla “Buona Scuola”, se al prossimo passaggio tramontasse la chiamata diretta che così inopinatamente era sorta, si potrebbe suonare, se non le campane, la campanella.