venerdì 12 giugno 2015

Repubblica 12.6.15
H.M., l ’uomo che viveva solo il presente
Il paziente fu operato per un’epilessia.Guarì ma conservò soltanto la memoria a breve “Il suo caso ci ha insegnato che puoi pianificare il futuro solo se hai dei ricordi”
Intervista a Suzanne Corkin che ha studiato uno dei casi più misteriosi della storia della scienza
di Bruno Arpaia


NEL 1953, Henry Molaison, un ventisettenne di Hartford, nel Connecticut, venne sottoposto a un intervento sperimentale di “psicochirurgia”» per combattere la forte epilessia di cui soffriva. Dal suo cervello venne aspirata gran parte degli ippocampi e delle amigdale. L’epilessia si attenuò, ma H. M. (come sarebbe stato conosciuto per il resto della vita) perse la capacità di creare nuovi ricordi: conservava una memoria a breve termine che gli consentiva di registrare fatti, volti, sensazioni per una trentina di secondi, e poi dimenticava tutto. Suzanne Corkin, oggi professore emerito di Neuroscienze al Massachusetts Institute of Technology, incontrò Henry nel 1962, quando era da poco laureata.
Poi, per quasi cinquant’anni, lo seguì e lo studiò, anche se, ogni volta che lo incontrava, per Henry era la prima volta che si vedevano. Ora Suzanne Corkin ha pubblicato un avvincente libro, Prigioniero del presente (Adelphi), in cui racconta il loro rapporto, un libro che è allo stesso tempo un case study e una biografia, in parte scritto anche allo scopo di mostrare che Henry Molaison, scomparso nel 2008, era molto più di un semplice soggetto di studio.
Dottoressa Corkin, cosa abbiamo imparato da Henry Molaison nel campo dello studio della memoria umana?
«Henry è il paziente neurologico più studiato nella letteratura medica e scientifica, e il suo caso è stato fondamentale per una serie di scoperte decisive sulla natura della memoria e sugli specifici processi attraverso i quali viene costruita. Henry ci ha insegnato che, diversamente da quanto si credeva in precedenza, esistono diversi tipi di memoria con differenti “indirizzi” nel cervello. La memoria può essere a breve e a lungo termine; quella a lungo termine può essere divisa in due categorie: dichiarativa e non dichiarativa. La prima è il recupero cosciente, consapevole di fatti ed eventi. Se le chiedo di raccontarmi la sua esperienza a cena ieri sera, lei attiverà i circuiti della memoria dichiarativa per rispondermi. La memoria non dichiarativa è diversa perché si tratta di abilità e abitudini apprese senza consapevolezza conscia, come quando si impara ad andare in bicicletta o a giocare a tennis. La memoria dichiarativa di Henry era profondamente compromessa, mentre quella non dichiarativa era stata preservata. Per esempio, sapeva usare il deambulatore e non dimenticava come farlo. Questa dissociazione di funzioni ha mostrato che i due tipi di memoria dipendono da differenti circuiti cerebrali. Così, paradossalmente, Henry, l’uomo senza memoria, non verrà mai dimenticato».
La memoria costruisce il racconto del nostro passato, cioè ci dà un’identità. Che tipo di consapevolezza di sé aveva Henry Molaison?
«La memoria è fondamentale per lo sviluppo dell’Io, e molti studiosi hanno sostenuto che un individuo privo della capacità di ricordare sia privo anche di un’identità. Henry, tuttavia, possedeva un senso di sé, ma era meno completo del nostro. Il nostro concetto dell’Io è un amalgama fra i nostri ricordi del passato e del presente e i nostri progetti per il futuro. Quando esaminavamo l’accesso di Henry a questi periodi di tempo, verificavamo che era disomogeneo, a chiazze. Quando gli si chiedeva di guardare al futuro, Henry rimaneva perplesso perché non poteva viaggiare mentalmente in avanti nel tempo a breve o a lungo termine. Non aveva gli elementi per poter costruire l’agenda per il giorno, il mese o l’anno dopo, e non poteva immaginare le esperienze future. In questo modo, del resto, non era mai stressato perché non era oppresso dai ricordi del passato e dalle ansie per il futuro. Vivendo nel presente, con un’identità formatasi in maggior parte prima dell’operazione, tirava avanti come poteva. Henry non riusciva a creare un futuro e non è mai stato in grado di inseguire i propri sogni perché non ne aveva. Ci ha così insegnato che un prerequisito necessario per pianificare il futuro è un ippocampo funzionante insieme a un sistema di memoria dichiarativa. Oggi sappiamo anche che i nostri ricordi non sono incisi sulla pietra, ma sono plastici e possono essere rimodellati per incorporare ogni nuova informazione disponibile quando vengono richiamati. Così, il nostro cervello li aggiorna, li modifica, rendendo più forti i nuovi ricordi immagazzinati».
Che impatto aveva sulla sua vita di tutti i giorni l’incapacità di Henry di creare ricordi? Com’era il suo universo?
E parlare con lui? Nei quasi cinquant’anni di frequentazione, qualche volta l’ha riconosciuta?
«Non poteva vivere in maniera indipendente e aveva bisogno di costante assistenza. Aveva pochi amici e una limitata vita sociale. Parlare con lui era come parlare con un uomo normale finché non cominciava a ripetere le cose che aveva appena detto pochi minuti prima. Tuttavia, era molto socievole e chiacchierone. Henry non ha mai saputo davvero chi io fossi, ma all’inizio degli anni Ottanta disse che mi aveva conosciuto alle scuole superiori. Perché lo pensava? Con gli anni, aveva sviluppato un senso di familiarità per il mio viso e il mio nome».
Il contributo di Henry alla scienza continua anche dopo la sua morte… Quali sono per lei le prossime frontiere delle ricerche sulla memoria?
«Il tessuto cerebrale di Henry è stato conservato all’Università della California. Abbiamo creato un comitato che valuterà le richieste da parte dei ricercatori di studiarlo. Il primo obbiettivo sarà quello di determinare esattamente che tipo di malattia avesse, e solo in seguito si svilupperanno specifiche ricerche. La scienza va avanti. E le prossime frontiere della ricerca sulla memoria riguarderanno i livelli cellulare e molecolare, dove i progressi verranno dall’applicazione di nuovi, meravigliosi strumenti, ora utilizzati sui topi. I nuovi metodi comprendono l’optogenetica per attivare e inibire specifiche cellule, il Crispr, che è un metodo di ingegneria genomica, e Clarity, grazie al quale è possibile vedere il cervello in 3D senza intaccarne o metterne a rischio l’integrità, per mappare il sistema nervoso.
E così ne sapremo molto anche sulla mente, perché sono d’accordo con l’affermazione di Francis Crick secondo la quale noi non siamo altro che i nostri neuroni. La mente non è altro che il cervello».
IL LIBRO Prigioniero del presente di Suzanne Corkin (Adelphi, tr.it. M. A. Schepisi, 432 pagine, 30 euro)