Repubblica 12.6.15
Il lungo iter contro gli abusi
di Agostino Paravicini Bagliani
LA DECISIONE di Papa Francesco di considerare reato canonico «l’abuso d’ufficio episcopale » che consiste nel non dare un seguito adeguato, da parte dei vescovi, alle denunce di abusi di ecclesiastici su minori e persone deboli è stata salutata dalla stampa di tutto il mondo come una novità di grandissimo rilievo.
La novità è importante anche storicamente, perché per la prima volta un “tribunale” vaticano — ossia un’apposita sezione della Congregazione per la Dottrina della fede — è chiamato a svolgere funzioni giudiziarie esclusivamente nei confronti di vescovi.
La Congregazione per la Dottrina della fede — più nota al pubblico come Sant’Uffizio, nome che fu abbandonato da Paolo VI nel 1965 — aveva avuto già in precedenza la possibilità di aprire procedure contro membri della gerarchia ecclesiastica, e dunque anche contro vescovi, riducendoli, ad esempio, allo stato laico o emettendo altre sanzioni.
Recentemente Papa Francesco destituì un vescovo dell’Opus Dei, Rogelio Ricardo Livieres Plano. Si trattava però di decisioni prese sulla base di procedure ordinarie. Papa Francesco invece innova istituendo un apposito “tribunale” per risolvere un problema che attanaglia la credibilità della Chiesa cattolica e che esige procedure straordinarie.
Procedure penali e sanzioni da parte del papato contro vescovi non sono però mancate nel corso dei secoli, anche per motivi legati al comportamento personale di questo o quel vescovo.
Un solo esempio. Una lettera di papa Nicola I (858—867), dell’anno 864, è rimasta celebre come più antico documento papale nei confronti della caccia. Il Papa fu informato che un vescovo della provincia ecclesiastica di Salisburgo, Lanfredo, era dedito alla caccia, che il papa definisce senza mezzi termini un “vizio”. Ma ciò che preoccupava il Papa era anche il comportamento di quel vescovo nei confronti di «una sua figlia », con la quale «mantiene un’immoderata familiarità». Il giovane vescovo, dice ancora il Papa, «è stato ammonito, ma «in nessun modo sanzionato», e quindi ordina dall’arcivescovo di Salisburgo di convocare un sinodo provinciale per costringere Lanfredo ad asternersi «dalla caccia di ogni bestia e uccello» e «da ogni familiarità immoderata con sua figlia».
Una grande novità avvenne con Innocenzo III (1198—1216) che permise che i vescovi fossero denunciati alla Sede apostolica. Soltanto nel corso del Duecento furono aperti più di cinquecento processi contro vescovi denunciati per lo più per motivi legati all’esercizio della loro funzione o per nascoste lotte politiche.
Proprio in quel secolo fu istituita la Penitenzieria — che è ancora oggi esistente — con il compito di procedere all’esame di delitti la cui assoluzione era riservata al pontefice romano. Nei registri dell’Archivio della Penitenzieria, aperti recentemente alla consultazione, si trovano innumerevoli infrazioni legate all’eresia e alla lesa maestà papale, ma anche violazioni di clausura di monasteri femminili e così via.
Per lunghi secoli, il papato si servì anche di una cerimonia, che si celebrava ogni anno il Giovedì santo — dal Quattrocento in poi sulla loggia della basilica vaticana —, rivolta a scomunicare i ribelli alla Chiesa. Numerosi erano i vescovi coinvolti in questi processi rituali, motivati prevalentemente da problemi di natura politica, lontani anni di luce da quelli contro i quali interviene Francesco.
Con una decisione che innova non soltanto sul piano giudiziario ma mette nello stesso tempo fine a quel manto di silenzio che tradizionalmente veniva calato sull’operato delle gerarchie ecclesiastiche nella lotta contro abusi di ecclesiastici su minori.